L'Italia crolla ma il premier Conte pensa a vincere il Grande Fratello Vip
Mentre l'anfitrione Giuseppe Conte riceve i suoi ospiti al Gran Galà dell'Economia, convocato nella residenza di Villa Pamphilj, gli italiani continuano a soffrire per l'assenza di risposte tempestive ad una crisi che si acutizza giorno dopo giorno. Gli Stati Generali rappresentano un diversivo, un'idea-fumogeno per provocare foschia nel tentativo di eludere la consapevolezza dell'impotenza colpevole del governo.
La produzione industriale crolla, ad aprile l'Eurostat ha registrato una contrazione del 17,3% rispetto a marzo e del 27,2% rispetto all'aprile del 2019, il Pil si stima in un declino allarmante a due cifre, le fragilità sociali si esacerbano, una impresa su tre rischia di chiudere e il governo, anziché intervenire con provvedimenti, si esibisce in dibattiti allestiti in scenografie decorative. La spocchia di Conte è il prodotto di una strategia comunicativa, progettata dal direttore artistico di Palazzo Chigi Rocco Casalino, che ha l'obiettivo di amplificare la figura mediatica del premier. La consultazione con i principali stakeholders del sistema produttivo comporta una negoziazione sul listino delle priorità che da anni costituiscono un menù programmatico condiviso. Dunque, gli Stati Generali non sono funzionali ad una reale progettualità, essendo utili solo al tornaconto propagandistico del premier che ha centralizzato le informazioni dell'evento organizzato a porte chiuse in una sorta di Grande Fratello Vip autogestito.
Questa forma di outsourcing decisionale che esternalizza la gestione dei processi democratici, con le task-force e le parate in sontuose residenze, vorrebbe relegare il Parlamento all'umiliante mansione di ratificatore di decisioni adottate altrove con effetti usurpativi sulla rappresentanza democratica.
Nei Cinque Stelle molti scalpitano per il redde rationem e Alessandro Di Battista invoca il congresso, ma l'elevato Grillo ne ha stoppato le velleità con la solita ruvidezza. Di questi tempi chiedere una conta interna è diventato un reato politico punibile con l'accusa di sobillatore. Guai a ipotizzare una competizione che presupponga un confronto fra tesi politiche con la conseguente scelta, qualcuno si potrebbe montare la testa e credere di abitare in una democrazia. Suvvia, non scherziamo!
Beppe Grillo sta imponendo il suo spettacolo nell'arena pubblica per il quale gli italiani pagano ogni giorno un esoso ticket. Lo show grillino è ispirato al trasformismo più eclatante con mutazione fulminea della partitura: da indossatore dei panni sciatti del rivoluzionario a diligente paggetto del sistema, da accecato rovesciatore del potere a prudente cadetto della sua versione più vischiosa, da dogmatico della democrazia diretta a tirocinante della palude parlamentare, da nemico dell'Europa a fervente europeista, da seguace del sistema elettorale maggioritario a fautore del proporzionale per disarticolare gli avversari e rendere strutturale l'«alleabilità» del Movimento. Il grillismo è tutto e il contrario di tutto, ma con una capacità di adattamento camaleontico che integra l'abiura come parte costitutiva del suo agire. Il Movimento 5 Stelle utilizza il doppio standard, integerrimo propugnatore dei principi giacobini a discapito degli avversari e flessibile, fino alla deroga, quando è esso stesso a poter subire il giudizio punitivo ricavato dal suo codice primitivo.
Sugli avversari il sospetto equivale a verità, mentre su di loro l'indizio viene retrocesso a macchinazione ovvero a fake. All'inchiesta giornalistica del quotidiano spagnolo ABC, che informa su presunti fondi in nero ricevuti dal regime comunista venezuelano, i pentastellati replicano con la minaccia delle querele. La nemesi dei Cinque Stelle, vittime della loro delirante cultura giustizialista.