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Venezuela-gate, M5S sotto accusa: quel filo rosso che lega Rousseau a Caracas

Pietro De Leo
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Tu chiamale, se vuoi, le relazioni pericolose. Magari figlie, assieme alla genesi del Movimento 5 STelle, di quell’evaporazione delle culture politiche e della liquidità delle idee che, in un certo qual modo, terremota certezze cementate per anni.

Così ecco che alcuni retaggi, che si pensavano racchiusi soltanto nello slancio idealista di certa sinistra condannata alla mera testimonianza, tornano prepotenti, e diventano gesto politico. A mettere in discussione, magari, un punto solido della nostra democrazia come il collocamento atlantista.

Ecco Luigi Di Maio, ministro degli Esteri che, nei giorni più bui della crisi Covid, si spertica in lodi e ringraziamenti verso il regime cinese, dalla mano allungata in Italia con una equipe medica e una dotazione di macchinari e strumentazioni per dare aiuto alla Penisola ferita. Tanto è il giubilo quanto assente invece è la risolutezza, da parte italiana, nel chiedere conto al regime comunista di Pechino delle omissioni sulla genesi e la diffusione del Covid. Oramai è stra noto (basta citare uno studio dell’università di Southampton) che se ci fossero stati trasparenza e allarmi tempestivi da parte del governo cinese avremmo potuto risparmiare una gran quantità di vittime. Invece niente. E morbida ai limiti dell’omertà è sul punto la posizione dell’Italia. Il nostro Paese si riscoprì nelle funeree settimane tra marzo e aprile come terreno di gioco di un’intensa opera di soft power da parte di governi autoritari e regimi dittatoriali, lesti nel tentativo di recuperare la reputazione dando sostegno sanitario.

Dunque la mal tollerata Russia, che ha inviato una squadra di sanificatori e fu invitata cordialmente ad andarsene ben presto. E appunto Cina, Venezuela e Cuba, la triade comunista al contrario rigraziatissima e celebratissima. D’altronde, la fascinazione equo solidale nell’evocazione del «pueblo» è assai incardinata nella storia del Movimento 5 Stelle. Uno dei volti è senz’altro Alessandro Di Battista, forte del suo passato da cooperatore in Sud America. A lui si deve, per esempio, l’organizzazione di un convegno, nel lontano 2014, alla Camera. «L’Alba di una nuova Europa». Auspicio comune, senz’altro, se non fosse che «Alba» è l’acronimo di «Alleanza bolivariana per le Americhe», ossia un’intesa cooperativa siglata da Paesi dell’America latina e dei Caraibi nel 2004. Colonne dell’accordo furono Fidel Castro e Hugo Chavez. D’altronde, il caudillo di Caracas, nonostante fosse morto nel marzo 2013, quando era soltanto in procinto l’esordio parlamentare del Movimento 5 Stelle, non è esattamente estraneo, almeno a livello teorico, all’esperienza grillina.

Ecco quindi una delegazione pentastellata, tra cui l’attuale sottosegretario Manlio Di Stefano, recarsi proprio a Caracas nel 2017 per una commemorazione del dittatore defunto. Per quanto anche il suo erede, Nicolas Maduro, non rimane del tutto indifferente. Lo scorso anno il Movimento 5 Stelle era al governo con la Lega quando si verificò il tentativo di rovesciare il regime del Venezuela per avviare il Paese verso un percorso democratico. Protagonista di quell’operazione era il giovane Juan Guaido, in buoni uffici con l’Amministrazione Trump. Ebbene, mentre la Lega si schierò favorevolmente alla svolta, il Movimento si piantò in un fumoso «né con Guaido né con Maduro» che, di fatto, rese l’Italia un’anomalia rispetto ai paesi occidentali. Ma non è finita qui.

Sempre in campo di regimi notorio è l’alito di benevolenza verso l’Iran. Anche antico, se vogliamo, risalente a quando il Movimento 5 Stelle voleva dire soltanto Beppe Grillo. Quest’ultimo si spinse a tal punto da relegare ad errori di traduzione gli appelli dell’ex presidente Ahmadinejad alla distruzione di Israele. Pure sulla questione Medio Orientale non sono mancate uscite quantomeno improvvide per un partito diventato poi forza di governo. Sempre Di Stefano, a proposito di Hamas ebbe a dire: «Dovremmo fare in modo che si democratizzi maggiormente affinché non sostenga tesi inaccettabili come la distruzione di Israele». Peccato che questo obiettivo orribile, ossia la cancellazione di Israele, Hamas lo ha scritto nel suo statuto fondativo, e non è in alcun modo figlio dell’atteggiamento «nostro». Ma si sa, da uno che ebbe modo di scrivere su Facebook «Il terrorismo islamico non esiste» non ci si può attendere chissà quale profondità nella visione delle cose.

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