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L'incapacità di Conte e dei suoi ministri rischia di mandare a casa i lavoratori

Clamoroso pasticcio del governo. Manca il decreto bis, non c'è più la tutela dei posti di lavoro

Franco Bechis
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Hanno avuto un mese e più di tempo per scrivere quello che veniva chiamato «decreto aprile». Mercoledì scorso il consiglio dei ministri lo ha approvato con il nome di «Rilancio Italia», il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e altri tre ministri lo hanno illustrato con grande enfasi in conferenza stampa, sabato lo stesso premier ha garantito che il testo sarebbe stato sulla Gazzetta Ufficiale di domenica, e invece non è stato nemmeno inviato al Quirinale per la firma. Forse accadrà oggi. Ma il ritardo ha causato un buco non di poco conto: questo lunedì grazie ai pasticci del governo ogni impresa che lo riterrà necessario potrà licenziare anche per motivi economici i suoi dipendenti. Il divieto di licenziamento che era stato stabilito dall'articolo 46 del decreto Cura Italia valeva infatti 60 giorni dalla data di pubblicazione, quindi dal 17 marzo. Ed è quindi scaduto nella sua efficacia il 17 maggio. Lo stesso divieto – è stato detto in conferenza stampa- è contenuto nel «Rilancio Italia», ma la norma non potrà essere in vigore prima della sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale. Quindi al momento è possibile licenziare e chi oggi perderà il posto di lavoro non potrà che ringraziare l'incapacità di Conte e dei suoi ministri, che non sono in grado di realizzare nemmeno quello che ritengono prioritario e giusto fare.  Leggi anche: Mentana striglia di nuovo Conte: smettila con i giornalisti Spero sinceramente per tutti quei lavoratori che questo non accada, e lo spero perché questo vorrà dire che le imprese che danno loro il lavoro hanno ancora speranza di potere risollevare la testa e farcela. E non sono nemmeno quei nemici di classe della attuale maggioranza di governo come si desume dai provvedimenti fin qui adottati. Ma il rischio che fanno correre a centinaia di migliaia di lavoratori la dice lunga sulle capacità professionali di questo consiglio dei ministri. Per alcuni la sostanza non cambierà molto perché la sola cosa che salva posti di lavoro è consentire alle imprese di potere lavorare come accadeva fino a febbraio di quest'anno, risarcendo loro gran parte del danno sofferto a causa dei provvedimenti di lockdown e offrendo a basso costo la liquidità necessaria a investire sul futuro. Purtroppo non è stata fatta né lìuna né l'altra cosa se non a parole. A ieri sera dopo più di un mese risultavano in elaborazione pratiche di finanziamento bancario con garanzia statale per 11,1 miliardi di euro sui 400 miliardi che erano stati promessi. Quindi è chiaro che quel decreto liquidità non funziona, e si sa benissimo anche il motivo: è scritto malissimo, confuso, pieno di trappole per chi chiede e per chi eroga quei soldi. È stato segnalata in ogni modo al governo il principale ostacolo alla concessione di quel credito: il complesso di norme pre-esistenti, anche penali, sulla concessione di quel credito che impedisce ai funzionari di banca di esaminare alla leggera perfino richieste fino a 25 mila euro con garanzia statale al 100%. La soluzione era semplice: sospendere quelle norme temporaneamente proprio per l’applicazione del decreto liquidità. Basta un articolo solo di legge di pochissime righe, ma questo spaventa chi lo deve scrivere, perché è abituato a complicare e non a semplificare la vita agli altri. E infatti la sola cosa apparsa nelle varie bozze del decreto sulla liquidità da concedere alle imprese è di segno diametralmente opposto: una modifica all'articolo 316 del codice penale sulla malversazione a danno dello Stato per estenderla non solo a chi ottiene finanziamenti pubblici (oggi è così), ma anche a chi ottiene garanzie statali, portando la pena prevista da un massimo di 4 a uno di 6 anni. Ci auguriamo che nel testo definitivo questa modifica non trovi posto, ma è assai illuminante su cosa ha in testa chi ci governa. Invece di pensare agli aiuti a gente che ha perso tutto in queste settimane, si pensa che chi reclama aiuto sia prima di tutto un delinquente o un furbetto. Cosa che certamente può accadere, come abbiamo visto proprio con un provvedimento bandiera del M5s quale è il reddito di cittadinanza. Ma che davanti al grido di baristi, ristoratori, commercianti in oggettiva difficoltà prima di tutto si pensi che questi sono poco di buono e approfittatori racconta l'odio sociale che serpeggia in chi ha le leve del potere. E in momenti come questi bisogna per il bene di tutti togliere loro le mani da quelle leve. Prima che facciano altri danni così.

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