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Alessandra Mussolini, "cambiati il cognome": la risposta lapidaria

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«Dino Risi me lo disse in faccia. ’Tu vuoi fare il cinema con quegli occhi che ricordano tuo nonno? Almeno cambiati il cognome!’» La risposta lapidaria fu: «Col ca...!». Ho lasciato il cinema «perché non mi prendevano mai. Dopo ogni provino le risposte erano: troppo bella, troppo brutta, troppo alta, troppo magra, occhi troppo chiari. Il vero troppo forse era il cognome». Così Alessandra Mussolini in un’intervista al Corriere della Sera in cui ripercorre la sua esperienza sul set, da Ettore Scola ad Alberto Sordi, e parla della sua famiglia, in occasione dell’uscita del libro 'Il gioco del buio'.

 

 

«Dino Risi me lo disse in faccia. ’Tu vuoi fare il cinema con quegli occhi che ricordano tuo nonno? Almeno cambiati il cognome!’», racconta. «Mi suggerì di farmi chiamare Alessandra Zero». La riposta fu lapidaria: «Col ca...! Che poi, se pure mi fossi cambiata il cognome, non sarebbe cambiato nulla. Avrebbero detto ’guarda ’sta vigliacca, pure il nome si cambia'. Poi quando le cose non vanno e non funzionano, non ti puoi mica incaponire. Chiusi col cinema, mi iscrissi a Lettere, dove però c’erano sempre troppi casini e troppe manifestazioni, quindi a Medicina». «Mi sono laureata nel 1994 e ancora oggi pago la quota all’Ordine dei medici. Dopo il master in angiologia, capitava che un paziente aprisse gli occhi dopo un ecodoppler dei tronchi sovraortici, guardasse verso di me e dicesse: ’La Mussolini qui? Che è, una candid camera?’».

 

 

Poi la politica: «Il Movimento sociale mi mandò a sfidare Bassolino a Napoli e fu un successo incredibile. Io e Bassolino arrivammo al ballottaggio lasciando fuori la vecchia Dc». Vinse Bassolino. «Adoravo Bassolino, avevamo molte cose in comune. Fosse stato possibile, avrei costruito una grande coalizione con lui in consiglio comunale. Mò si parla tanto di fluidità; politicamente ero fluida già all’epoca». Il capitolo familiare, con il padre Romano Mussolini, jazzista, che tradiva la mamma Maria Scicolone, a sua volta protagonista di una storia difficile, riconosciuta solo dietro pagamento di una somma messa a disposizione dalla zia Sophia Loren con il cachet di ’Quo Vadis’: «Riccardo Scicolone, di cui mia nonna era stata amante, aveva riconosciuto zia Sofia, dandole il suo cognome, ma non mia mamma, che infatti portava il cognome di nonna, Villani. Lo pagarono per dare il cognome anche a mia mamma».

 

 

Ma le cose in casa tra il papà Romano e la mamma Maria non andavano: «Violenza fisica non ce n’era ma così era forse persino peggio, a casa erano litigi continui, senza sosta. Partivano dalla cucina e arrivavano in sala da pranzo, innescati spesso da nonna Romilda che attaccava mia mamma. Tanto nonna aveva costruito con zia Sophia, quanto poi ha distrutto con mia mamma». «Nonna, che era stata musicista anche lei, beccava i tradimenti di mio papà e li riferiva perfidamente a mia mamma. Mamma se la prendeva con papà. Papà faceva quello che fanno gli uomini di solito: negava, negava, negava. Magari era domenica, nonna per dispetto versava mestolate di ragù bollente nei piatti e lanciava cotolette che friggeva fino a farle diventare pietre». Ricordi felici «due o tre al massimo. Una giornata al luna park dell’Eur, una domenica nel lettone a guardare Stanlio e Ollio in pigiama tutti assieme, più il gioco del buio che dà il titolo al libro, che facevamo con mio papà nella piccola casa in cui abitavamo».

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