Navalny, "caduto dalle scale": Giannini punta il dito contro Putin. Il paragone
Il paragone regge nelle modalità in cui è avvenuta la morte: “Il fatto che sia stato trovato pieno di lividi, ci fa pensare che sia caduto dalle scale”. Massimo Giannini, intervenuto durante la puntata di Che Tempo Che Fa, con una certa dose di sarcasmo ha azzardato il parallelismo tra il caso dell’attivista dissidente russo Alexei Navalny e quello di Stefano Cucchi, ucciso di botte da carabinieri. E lo ha fatto citando l’ormai celebre frase di Alessandro Borghi nel film Sulla Mia Pelle nel quale interpretava proprio il fratello di Ilaria. Per l’editorialista de La Repubblica la fattispecie è piuttosto lampante: si tratta di “un omicidio di Stato”, l’ennesimo commissionato dal regime di Vladimir Putin. Navalny secondo la versione ufficiale del Cremlino è stato colpito da “una sindrome da morte improvvisa”, ma in realtà il corpo arrivato all’obitorio è ricoperto di lividi, e questo potrebbe lasciare intendere le violenze nei suoi confronti all’interno del centro di detenzione in Siberia.
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“Però qualcuno in Occidente penserà che sia stato un incidente, anche da certa parte politica in Italia”, afferma Giannini muovendo una critica nei confronti di tutti coloro che credono nell’innocenza di Putin. L’ospite del conduttore Fabio Fazio è impietoso verso il leader del Cremlino e il sistema giudiziario di Mosca: “I dettagli del crimine li sapremo poi, ma intanto è evidente che il trattamento subito da quest’uomo, che ha subito 10 condanne una più ridicole dell’altra” è indecoroso. Navalny rappresentava un pericolo per Putin, ed è chiaro che sotto suo ordine “il sistema giudiziario russo ha lavorato per spegnere quella coscienza, e ci sono riusciti anche se non l’hanno materialmente ucciso”. Detto questo, e in merito Giannini si confessa pessimista, “questo evento non cambierà nulla a Putin, ci siamo illusi già tante volte che potesse venire meno il regime in Russia”. E l’ennesima morte sospetta si mette sulla scia di quella di “Anna Politkovskaja del 2006, quella sicuramente commissionata dallo Zar perché uccisa nel giorno del suo compleanno come regalo da un sicario”.
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Non solo, “poi hanno assassinato anche Aleksandr Litvinenko (ex agente dei servizi segreti russi, poi dissidente, ndr) e non mi sembra che il regime si sia indebolito”. Nemmeno “con la guerra in Cecenia e quella in Ucraina”. Figurarsi con il golpe provato dal capo della Wagner Prigozhin, anche lui poi morto misteriosamente in un incidente aereo. Insomma, la realtà è che a Mosca il regime più va avanti e più si consolida, e a opinione di Giannini “la Russia sta dimostrando, dati economici alla mano, che neanche le nostre sanzioni ne hanno intaccato le sicurezze”. D’altronde, chiosa il suo ragionamento l’editorialista de La Repubblica, “nel corso del tempo hanno mostrato una resilienza formidabile: hanno avuto 40 milioni di morti durante la Seconda Guerra Mondiale, figuriamoci se si preoccupano di 400mila morti in Ucraina”.