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Dieci anni senza il Divo Andreotti. Bisignani: che consigli darebbe a Meloni e al Papa

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Luigi Bisignani
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Caro direttore, più Divo che mai. In occasione del decennale della morte di Giulio Andreotti, ieri la famiglia è voluta tornare nel luogo di origine della sua vita terrena e spirituale: la parrocchia di Santa Maria in Aquiro, dedicata alla Madonna, situata nel cuore della Roma politica, tra Montecitorio e il Senato. A pochi passi da via dei Prefetti 18, la casa dell’anziana zia dove, rimasto orfano di padre a soli due anni, trascorse la sua fanciullezza. Ed è proprio in questa chiesa che Giulio mosse i primi passi da chierichetto. Tra queste mura, restaurate la prima volta da papa Gregorio III (731-741), ha coltivato anche la passione per una delle sue abitudini più celebri: la redazione dei suoi diari quotidiani. Certamente mai avrebbe immaginato che proprio quelle note l’avrebbero aiutato a disintegrare, per tabulas, più di una polpetta avvelenata gettatagli addosso nel corso della vita, soprattutto da Palermo, e che, grazie alla meticolosità con la quale registrava lo scandire dei giorni, ha potuto puntualmente restituire al mittente. Lo accusarono persino di essersi ritrovato in una masseria a baciare il mafioso Riina - proprio lui che, a stento, baciava la moglie, Livia, e ancor meno i figli, per non parlare degli amici ai quali riservava solo il braccio allungato a scatto per tenerli a debita distanza - nel momento in cui invece era dall’altra parte del mondo per partecipare ad un vertice internazionale. Aveva imparato a scrivere diari così precisi, quasi puntigliosi, grazie all’esperienza maturata nel tenere con grande cura i registri dei battesimi e dei decessi, quei decessi che tanto lo spaventavano - superstizioso com’era - quando, da chierichetto, era solito recarsi, insieme al sacerdote, in visita alle persone sul letto di morte. In talare nero e cotta bianca andava anche alle cerimonie in Vaticano dove, una volta in piena estate, rimase atterrito dalla tintura dei capelli di un anziano cardinale che, per il caldo, colava sui paramenti, convincendolo già allora che mai si sarebbe tinto la chioma. Ricordo ancora il suo disappunto, quando un giornale insinuò che anche lui facesse ricorso a questo genere di «ritocchini», circostanza che quasi volle smentire, contravvenendo così al principio, che per lui era un mantra, in base al quale «una smentita era una notizia data due volte».

 

 

Mentre la messa in suffragio scorreva, accanto alle preghiere veniva da pensare, tra la guerra in Ucraina e le prime battute d’arresto del Governo, che raccomandazioni darebbe oggi Giulio Andreotti -con il suo record di maggior numero di incarichi governativi della storia della Repubblica- a Papa Bergoglio e al premier Meloni. Potrebbero essere forse queste: «Santità, ricordo con orgoglio di averla avuta tra i collaboratori nella mia rivista "30 giorni" e le assicuro che anche qui, in Paradiso, ogni giorno preghiamo per Lei. Ne ha proprio bisogno, come ci sussurra spesso San Pietro. E osservo con piacere che sta modificando anche alcune convinzioni. All’inizio del suo Pontificato pensava che ormai l’Europa fosse marginale nel mondo, quasi inutile, ma con saggezza ha voluto rivedere le sue posizioni: la terribile guerra che si svolge in Ucraina colpisce e coinvolge il cuore dell’Europa, non a caso, le due guerre mondiali sono nate proprio qui... Vorrei esserle accanto per tentare ogni strada che porti alla pace, senza alcun inutile tweet come va di moda tra i nostri, per così dire, governanti... A tal fine mi permetta un sommesso consiglio, io che di Pontefici, Cardinali, Vescovi e Parroci ne ho visti e conosciuti, forse come, se non più di Lei: riattivi ed utilizzi la rete dei miei cari Nunzi Apostolici, preziosi e importanti tanto quanto i diplomatici della Farnesina e degli altri Paesi e si faccia aiutare dal Cardinal Parolin che ho conosciuto quando, giovane, veniva da me accompagnando il Segretario di Stato dell’epoca, il Cardinal Agostino Casaroli, che spesso incontravo anche nel villino di Maria Angiolillo, a Trinità dei Monti, , arrivavamo entrambi sempre con qualche minuto di anticipo rispetto agli altri ospiti per un breve scambio riservato di opinioni. Provi anche a volgere uno sguardo alla politica italiana ed individui un nuovo Giovanni Battista Montini, al secolo Paolo VI. Dopo 30 anni -a Napoli ce ne sono voluti 33, come gli anni di Cristo, per vincere lo scudetto - è giunto il momento che in Italia si ricrei un’area moderata di centro. I tassisti romani, che per me sono sempre stati più attendibili di qualsiasi sondaggista, (senza nulla togliere alla bravissima Alessandra Ghisleri) continuano a ripetermi: "a Preside’, se stava meglio nella Prima Repubblica, voi pensavate a tutti"». «Il mio pensiero va anche al presidente del Consiglio Giorgia Meloni -a proposito, non sa come la invidiano le mie colleghe Tina Anselmi e Franca Falcucci che ci tenevano proprio ad essere le prime donne premier della Repubblica Italiana- alla sua attività in Politica Estera, la mia vera grande passione. I miei apprezzamenti per come abilmente si sta muovendo nell’asse Euro-Atlantico, anche se mi permetto un’indicazione: quando andrà, spero presto, a Washington, vada con un "new deal" per l’Italia. Ora è il momento giusto per passare dalla teoria alla pratica, dall’orale allo scritto, chiarisco meglio: bene la sua posizione atlantista, ma ora deve presentarsi con un "Piano", anche perché credo che presto gli americani le chiederanno un altro grande segnale: prendere le distanze dalla Cina. Il mio vecchio e lungimirante amico Francesco Cossiga mi sussurrava sempre: "Caro Giulio, vanno bene Vaticano e Usa, ma ricordati di instaurare un rapporto forte anche con Londra e Israele!" Lei, Presidente, lo sta facendo da tempi non sospetti: complimenti!

 

 

Tuttavia aggiungo, qui dal Paradiso, un paio di suggerimenti: costruisca un rapporto molto più stretto con il Parlamento, che ho sempre considerato come il cuore della democrazia dove quel brav’uomo del ministro Ciriani non le sta facendo davvero un buon servizio, così come deve frenare le intemperanze del Presidente del Senato l’interista Ignazio La Russa, che mi pare di aver incontrato nella tenuta romana della Cesarina del comune amico Salvatore Ligresti. Ricordo un lontano pomeriggio con don Salvatore che portava a raccogliere le albicocche dagli alberi il Segretario di Stato Cardinal Sodano al volante di una golf car elettrica. Una gran paura, per la sua guida a scatti, con Sua Eminenza accanto all’autista ed io come un chierichetto dietro... Terrei anche un occhio e un orecchio all’Economia e alle Finanze, dove vedo l’accorto e cattolico ministro Giorgetti, forse consigliato dall’amico Monsignor Liberio Andreatta, più preso dalle cose spirituali che da quelle terrene... E, se posso ancora permettermi, parlo per esperienza personale, si tenga alla larga, come invece mi sembra non stia facendo, dalla telenovela sulla Guardia di Finanza, da generali e soprattutto Servizi che tanto piacciono al suo sottosegretario Mantovano ed al caro amico, si fa per dire, Luciano Violante... I generali sono bravi soprattutto in una guerra: quella tra di loro...». E, visto che nell’immaginario racconto è stato citato Francesco Cossiga, è bene anticipare una bella iniziativa per commemorare Andreotti a dieci anni dalla sua scomparsa, che si terrà mercoledì 17 maggio, alle ore 17, nella Sala della Regina a Montecitorio, dove verranno pubblicate, tra l’altro, le lettere del Divo con Francesco Cossiga quando era Presidente della Repubblica. Tra queste, una rivelatoria datata 15 settembre 1989, ampiamente eloquente del calvario giudiziario che Giulio Andreotti ha dovuto subire per dieci lunghi anni: "Caro Cossiga, ti rinnovo il ringraziamento espressoti a voce per aver firmato il decreto legge che impedisce a decine di condannati mafiosi di uscire subito dal carcere, in pendenza dell’appello. Non è certo piacevole proporre ancora una volta modifiche alla norma sulla carcerazione preventiva, ma se non lo avessimo fatto, oltre alla rimessa in circolazione di soggetti pericolosi (forse anche per loro stessi), avremmo nullificato l’effetto esemplare del maxi processo». A dimostrazione che in Paradiso, come diceva non si va in carrozza. Andreotti dixit.

 

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