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Rula Jebreal e Roberto Saviano, doppia gaffe per attaccare Meloni: sbugiardati

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In Italia c'è un problema di libertà di stampa e la colpa ovviamente è di Giorgia Meloni. Almeno a sentire Rula Jebreal, la giornalista palestinese idolatrata dalla sinistra radical chic e paladina del politicamente corretto. L'ex coconduttrice del Festival di Sanremo al fianco di Amadeus, ha pubblicato un tweet sulla consueta classifica di Reporter senza frontiere dei Paesi con la maggiore libertà di stampa, evidenziando i primi quattro posti (Norvegia, Irlanda, Danimarca e Svezia) e la 41esima posizione dell'Italia. Il commento? "La libertà di informare diventa un atto di resistenza", scrive nel giorno in cui si celebra la  giornata mondiale della libertà di stampa. 

 

Ma Jebreal trascura un particolare: l'Italia ha recuperato numerose posizioni rispetto alla precedente classifica, ma questo evidentemente non interessa ai suoi follower... Va da sé, inoltre, che la classifica viene stilata in base alla situazione del 2022, e quindi ogni speculazione sul governo vigente è impossibile senza sapere come sarà la graduatoria il prossimo anno.

Jebreal non è l'unico idolo della sinistra a scivolare sul tema. Roberto Saviano ieri in una intervista alla Stampa ha attaccato il governo che a su dire comprime la libertà (la prova è che è stato querelato da Meloni...). Ma una frase in particolare provoca la reazione, sullo stesso giornale, di Mattia Feltri che nelle sue argomentazioni risponde indirettamente anche alle critiche di Jebreal. "Alla domanda se l'andazzo non fosse cominciato con la causa intentata da Massimo D'Alema a Giorgio Forattini, Saviano ha risposto di no, perché 'D'Alema quando andò al governo la ritirò'. Non è proprio così. D'Alema era presidente del Consiglio quando, nel novembre del '99, chiamò Forattini in giudizio civile. Per una vignetta, gli chiese un risarcimento di tre miliardi di lire. Tre miliardi. Per una vignetta. Mica male come intimidazione da parte del potere", ricorda Feltri.

 

Il giornalista ricorda inoltre che la bassa posizione nella classifica di Rsf dell'Italia "dipende in buona quota dalle pene detentive previste dalla diffamazione, caso pressoché unico nell'occidente liberaldemocratico, e dall'abnorme quantità di querele mosse a scopo intimidatorio". Insomma, tutto è cominciato molto prima del governo Meloni. 

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