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L'ora della verità sulle nomine: per Leonardo spunta Elisabetta Belloni

Luigi Bisignani
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Caro direttore, il potere dell’ignoto. Nella grande partita delle nomine c'è uno spiffero che soffia costante e sul quale si libra un convitato di pietra che per il grande pubblico è un Carneade. È Massimo Menchini, con papillon e bretelle d’ordinanza riveste il ruolo di direttore Affari Istituzionali di Assogestioni, l’associazione italiana che rappresenta gli interessi delle società di gestione del risparmio. In nome e per conto dei propri associati, «indica» l’inserimento di consiglieri di amministrazione nelle società dove questi detengono una quota di partecipazione. Probabile che ne piazzi più di Berlusconi e di Salvini, forse persino più della Meloni. Ci sono Cda tipo Eni, nei quali colloca ben cinque consiglieri. Ma questo collocamento ad alcuni fondi e soprattutto a molte società di head hunters fa storcere il naso poiché, in alcune occasioni, le scelte non si sono rivelate adeguate tanto da sollevare proteste nei confronti del presidente di Assogestioni, Carlo Trabattoni e, soprattutto, del direttore generale, Fabio Galli, entrambi notoriamente riconosciuti sempre autorevoli ed equidistanti. Anche nel Cda di Tim i rappresentanti di Assogestioni sono cinque. Ma quel consiglio, le cui riunioni ormai durano mediamente dalle otto alle dieci ore, è ormai una barca senza nocchiero che naviga in un mare in tempesta e, come se non bastasse, con il ministro dello Sviluppo Economico Adolfo Urso che, almeno fino ad oggi, molti dicono che ha mosso solo le onde.

Alcuni osservatori forse preferiscono non vedere quale sia la reale convergenza di interessi in atto che rischia di mandare definitivamente in tilt il colosso tricolore delle telecomunicazioni: è quella tra l'Ad di Tim Pietro Labriola che fa il paio con Dario Scannapieco di CdP, sempre più vicino ad un’uscita anticipata. L’obiettivo di entrambi è dunque di guadagnare tempo sufficiente per arrivare almeno a fine mandato, ovvero ad aprile 2024. Serve tempo a Scannapieco per non rimanere impantanato nel fallimento di OpenFiber che dovrà essere più volte ricapitalizzata, e serve tempo a Labriola che plausibilmente cerca, anche forse tramite l’influente advisor Marco Patuano, di vendere, dopo aver spezzettato Tim, la partecipazione in Brasile ad una cordata per tornare a guidarla magari lui stesso, visto l’ottimo lavoro fatto in precedenza proprio nel Paese sudamericano. Gli indizi c’erano tutti, ma pochi li hanno voluti vedere, nemmeno i francesi di Vivendi. Ora, la strategia del 2023, sembra essere quella di rallentare fino a che si può l’analisi delle offerte ricevute (quella di Kkr e quella successiva di Cdp con Macquarie), convocare le eventuali adunanze e arrivare così al prossimo autunno, ovvero a ridosso della fine naturale del mandato.

 

 

Ma se Tim piange, Leonardo, dove pure si stanno insediando i consiglieri di Assogestioni, certamente non ride. Il commissario europeo Paolo Gentiloni sta usando con Giorgia Meloni tutto il suo peso a Bruxelles per evitare il licenziamento tout court del suo pupillo Alessandro Profumo, cercando di farlo rimanere, se non ancora Ad, almeno presidente. Ma se le cose andranno come sembra, Profumo avrà la sua rivalsa: il suo probabile successore Roberto Cingolani farà rimpiangere perfino lui. Il continuo successo di Roberto Cingolani, impermeabile alle mutazioni di governo, ha davvero del mistero degno di Stranger Things. Tuttavia prima di nominarlo, Meloni potrebbe fare una chiacchierata con un'altra donna, la senatrice a vita Elena Cattaneo, che aveva attaccato Cingolani, al tempo in cui era direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, per aver lasciato giacere su un conto infruttifero la somma di ben 415 milioni di euro senza destinarli alla ricerca e continuando a ricevere 100 milioni ogni anno mentre tutti gli altri (dalla Filosofia alla Biomedicina) ne ricevevano 92 in 3 anni. L’insigne scienziata italiana aveva bollato la gestione dell’ex superministro grillino come «forsennata più che assennata di un ente che è un’idrovora di soldi pubblici» ed aggiungeva «stiamo parlando di uno scandalo e di una vergogna...siamo gli unici in Europa ad avere un Istituto di questo tipo, non si può continuare a somministrare soldi agli amici degli amici». Nel frattempo Cingolani, dopo lo scontro con la senatrice a vita Cattaneo nel 2017, pensò bene di trovare rifugio sotto l’ala protettrice di Renzi, diventando ospite fisso alla Leopolda e avendo capito che, più rimaneva come direttore dell’IIT, più la mancanza di risultati sarebbe stata evidente. Quindi si spostò in Leonardo come Chief Technology & Innovation Officer, grazie ad Alessandro Profumo, manager di Gentiloni, che se lo portava in roadshow nei palazzi del potere, in quel tempo saldamente in mano ai grillini. Primo step, il sottosegretario alla presidenza Fraccaro che lo valutò per quello che è: un visionario che incanta quando parla di super computer. Da lì plana da Beppe Grillo, che se ne innamora e lo fa nominare ministro della transizione energetica nel Governo Draghi.

 

 

Durante la sua personale escalation verso obiettivi sempre più ambiziosi, sembrava che la stella protettrice dello scienziato si fosse offuscata con la guerra in Ucraina, quando all’improvviso quello che era ritenuto un ministero «tranquillo» si è trovato al centro di una delle più grandi crisi energetiche del Paese. Ma frequentando pochissimo il ministero perché, parole sue, «gli faceva addirittura paura», non si è perso d’animo e a luglio 2022 ha presentato un mirabolante piano energetico nazionale pieno di numeri fantastici, di inutili tetti al prezzo del gas - come poi certificato dalla stessa Ue - e promesse di opere realizzate alla velocità della luce come il rigassificatore di Piombino, che avrebbe dovuto essere pronto per gennaio 2023, ma che ancora oggi non è in funzione. I più attenti osservatori avevano pronosticato un disastro energetico, ma lo stellone di Cingolani ha continuato ad essere baciato dalla dea bendata e così, per nostra e sua fortuna, abbiamo avuto un calo dei consumi di gas del 22% e l’inverno più caldo degli ultimi duecento anni. Anche a Meloni Cingolani piace e, supportando un altro genio della lampada in libera circolazione come il ministro Pichetto Fratin, lo ha nominato suo consigliere per l'energia mentre in Leonardo, dove è rientrato per riprendersi il vecchio stipendio perso durante la sua avventura ministeriale, ha assunto nel suo dipartimento un centinaio di persone, anche se i risultati sul lato attivo del conto economico ancora non si vedono e chissà se si vedranno mai. Un visionario nel mondo degli armamenti? Un grande azzardo. Prima di dargli una nomina del genere, il premier Meloni dovrebbe ricordarsi il vecchio detto latino «Fortuna vitrea est: tum cum splendet, frangitur». La fortuna è come il vetro: così come può splendere, così può frangersi. Ma questa volta le schegge provenienti da una società strategica come Leonardo potrebbero scalfire profondamente il Governo. A meno che Meloni, troppo «scafata», come si dice a Roma, non punti a confondere le acque per un piano B. B come Elisabetta Belloni, potrebbe essere lei la nuova Ad di Leonardo. La donna perfetta. Direbbe la Schlein: non l’hanno vista arrivare.

 

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