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Minzolini stufo dell'Ue della prossima volta: inerme e divisa anche con la guerra in casa

Augusto Minzolini
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C’è una distanza siderale tra le parole, gli allarmi, gli appelli e le azioni conseguenti. Magari saremo pure abituati, ma più la situazione internazionale diventa drammatica e più lo strano limbo che ci vede sospesi tra la teoria e la prassi diventa insostenibile. L’ultimo consiglio europeo si è aperto con autorevoli membri della Commissione che ipotizzavano un «conflitto imminente» con la Russia, i capi di governo e le delegazioni hanno parlato per due giorni di difesa, dell’esigenza di creare un esercito europeo all’altezza per affrontare il rischio di una terza guerra mondiale (espressione che si ripete sempre più spesso), nel frattempo c’è stato un attentato che ha provocato 137 morti a Mosca e precipitato il mondo in un’incognita che potrebbe rivelarsi fatale, ma da questo mare di parole non è scaturito nulla di concreto. Ci si penserà la prossima volta. Dicono che la questione sarà affrontata dalla Commissione europea che nascerà sui nuovi equilibri del Parlamento di Strasburgo dopo le elezioni di giugno. Appunto, c’è sempre una prossima volta. Solo che visto il susseguirsi di eventi tragici potrebbe essere - speriamo di no troppo tardi. Il problema - ma ormai è diventato un disco rotto - è che l’Europa è divisa, per cui preferisce trastullarsi con la retorica che non costa niente e soprassedere sui fatti. Ed è un paradosso, per non dir di peggio, che l’Unione non riesca a garantirsi un’unità di azione in questa fase drammatica, visto che normalmente qualsiasi tribù, popolo, nazione, impero, qualsiasi soggetto insomma che raccolga un numero di individui dai tempi dell’età del bronzo ha una sorta di riflesso automatico che lo porta a compattarsi di fronte ad un eventuale pericolo. Ebbene, la UE non ha ancora introiettato questa reazione collettiva a dimostrazione che la tanto decantata unità a parole è ben lungi da venire sul piano dell’azione.

 

 

Fin qui l’Europa, ma non è che l’Italia stia meglio. Anzi. Nella coalizione di governo ci sono due se non tre posizioni diverse sulla politica estera, sulla guerra in Ucraina come sull’Europa. Se poi guardiamo sul versante dell’opposizione è peggio che andar di notte, lì addirittura albergano vedute, concetti, principi diversi, alcuni addirittura inconciliabili. Eppure, un tempo, quando si metteva in piedi un’alleanza la premessa era sempre la convergenza dei diversi partiti che ne facevano parte sulla linea di politica estera, una sorta di compromesso, di mediazione che garantiva una linea di azione comune. Quella convergenza era un elemento pregiudiziale per la nascita di una coalizione. E all’epoca, diciamoci la verità, era molto più facile scegliere visto che da una parte c’era l’Occidente e la Nato, mentre dall’altra l’Unione sovietica e il Patto di Varsavia. Oggi che la situazione è ben più complessa, visto che i conflitti non separano solo l’Ovest e l’Est ma anche il Nord e il Sud del mondo, e più pericolosa, dato che siamo passati dalla guerra fredda alla guerra guerreggiata, manca questa linearità che si traduce, come detto, in una grande difficoltà nel passare da un’estenuante verbosità all’azione. Per alcuni versi non si capisce neppure su cosa si fondino le alleanze in Europa come in Italia. È un’affermazione lapalissiana, ma in questo pazzo mondo ha quasi il sapore di una provocazione.

 

 

Per cui nel nostro strano presente le alleanze finiscono per avere un’identità chiara sul sì o sul no al superbonus, sul sì o sul no al reddito di cittadinanza, sul sì o sul no ad una determinata politica fiscale, ma non sulla posizione da assumere sull’Ucraina, su Putin, sul Medio Oriente o sull’Europa. Su questi temi sono tollerate posizioni differenti e comportamenti poco chiari. Eppure basterebbe ricercare delle mediazioni che richiamino tutti gli interlocutori ad un senso di responsabilità, che li obblighino a confrontarsi con la realtà e a non cedere su temi così delicati a pseudo ideologie o ad esigenze elettorali. Compromessi certo, perché la politica è fatta di compromessi, ma che consentano all’Europa di non restare ferma e inerme mentre il mondo si muove magari dalla parte sbagliata. E all’Italia di restare nel novero dei Paesi che contano e di esercitare quel ruolo da protagonista a cui ambisce e che gli spetta.

 

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