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Stellantis e Mittal, il sogno di vederli davanti alle Camere come Zuckerberg

Gianluigi Paragone
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Nei giorni scorsi si è discusso molto delle audizioni cui i capi dei principali social, da Face book a Tik Tok, sono stati costretti per volere del Congresso americano. Un confronto talmente teso e preciso nelle argomentazioni che il ceo di Meta, Mark Zuckerberg, si è scusato con le famiglie i cui figli sono stati vittime dei suoi social, Facebook Instagram e Whatsapp. Un confronto duro, dicevamo, arrivato dopo un dibattito che sta animando l’America circa le ricadute che le piattaforme hanno nella vita quotidiana, specie sui giovani ma non solo, su argomenti delicatissimi quali gli abusi sessuali, la manipolazione delle persone, la prostituzione, il traffico di armi e di droga, il mercato del cosiddetto dark web. Questioni che hanno portato il sindaco di New York Eric Adams a considerare i social un serio pericolo per la salute mentale delle persone; sulla stessa lunghezza d’onda anche il governatore della Florida Ron De Stantis che vorrebbe vietare i social ai minori di 16 anni.

Questo insomma lo scenario che ha portato il Congresso americano a convocare i capi delle piattaforme e metterli sotto torchio sulle pratiche troppo disinvolte circa l’uso dei dati personali e la monetizzazione attraverso gli stessi. Una discussione - ribadiamo - serrata e tesa che ha visto protagonista, in uno Stato presidenziale, la Camera "più politica". Alla luce del dibattito mi sono interrogato sulla debolezza del nostro Parlamento rispetto a questioni delicate dove gli interessi nazionali sono attualmente messi a dura prova da altri "padroni" che evidentemente considerano le Istituzioni non alla loro altezza.

Così ho provato a sognare ciò che, grammatica costituzionale alla mano, potrebbe essere non un esercizio onirico ma un pas saggio politico vero e proprio in una repubblica parlamentare: le audizioni in commissione di chi rappresenta ai massimi livelli gli interessi del gruppo Arcelor Mittal, azionisti di maggioranza della ex Ilva, e di Stellantis. Si tratta infatti di due questioni delicatissime che ricadono su scelte industriali strategiche per la nostra nazione: nel caso dell’acciaieria di Taranto perché lo Stato è azionista, nel caso della casa automobilistica nata dalla fusione tra il gruppo Fca e quello Peugeot perché impatta sull’occupazione e anche perché l’ad ha "chiamato" in causa il governo. Ho come l’impressione che tanto Mittal quanto Tavares considerino l’Italia quasi una formalità rispetto alle loro galassie: l’indiano nel senso che si è sbarazzato di un concorrente al quale vende i suoi semilavorati, il francese perché i nostri lavoratori possono anche essere sacrificati. Giorgia Meloni ha fatto bene, da Tokyo, a considerare bizzarre le frasi di Tavares: «Ho letto dichiarazioni sugli incentivi: ma gli incentivi di un governo non possono essere rivolti a una azienda nello specifico». Aspetto di vedere quali saranno le reazioni. Su Mittal c’è ben poco da aggiungere, nel senso che l’atteggiamento dell’azionista di maggioranza parla da sé, dall’aumento di capitale al mancato pagamento delle bollette del gas. In America, due tipini così sarebbero stati sottoposti a un confronto duro e rispettoso. In Italia? Evidentemente no. (Il sogno tra l’altro andava avanti con l’arresto di Arcelor Mittal, ma appunto era un sogno maldestro. Certo, fosse stato un politico...).

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