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Delmastro e Salvini, il “non poteva non sapere” vale solo a destra

Gabriele Di Marzo
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C’è una condanna di Tangentopoli, più di tutte, che mi ha sempre impressionato. Non tanto per la sua portata, piuttosto perché è stata mossa dall’assurdo e pericoloso principio del «non poteva non sapere». Cadde, allora, sull’ex presidente del Consiglio Arnaldo Forlani. Due anni e mezzo per il processo «Enimont». Due anni e mezzo scontati ai servizi sociali e un obbrobrio giudiziario che fu decisivo per la fine della sua carriera politica. Una scelta, quest’ultima, anche personale. Probabilmente Forlani, per caratura e consenso, sarebbe stato rieletto in Parlamento più volte ancora. Ma questa è altra storia. Del «non poteva non sapere», un altro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conobbe l’esistenza nel 2013 con il processo Mediaset. Unica condanna definitiva, di decine di processi, sulla quale ancora oggi si discute. Del «non poteva non sapere», oltre alla pericolosa declinazione giudiziaria, vi è anche quella politica. È quella che, in sostanza, muove la richiesta di dimissioni del sottosegretario Andrea Delmastro per la nota vicenda del deputato Pozzolo. Come se una persona, un sottosegretario, debba frugare nelle tasche di un collega di partito. E, potenzialmente, nelle tasche di tutti gli altri invitati, in una festa la notte di San Silvestro. Come se, dinamiche da chiarire a parte, la responsabilità penale valicasse improvvisamente la sfera personale. Solo perché la narrazione, così fatta, è più comoda ad alcuni.

 

 

Il «non poteva non sapere» è lo stesso sottaciuto principio, sbagliato, che ha portato le opposizioni a richiedere che il ministro Matteo Salvini vada in aula a riferire sul recente caso Anas e Verdini. Qui si fa ancora meglio: il sottointeso «non poteva non sapere», farebbe, per le opposizioni, anche scopa con il suo attuale ruolo da Ministro delle Infrastrutture utile ad offrire una presunta copertura in una vicenda che, anche dal punto di vista giudiziario, è ancora tutta in divenire. Tutto nel loro immaginario, ma tutto fa colore. Colore che si tinge, con il «non poteva non sapere», sempre allo stesso modo: sulla pelle del centrodestra. Benedetto garantismo. Perché nessuno mai si sognerebbe di asserire che le migliaia di truffe, quelle si accertate, relative al reddito di cittadinanza, siano state possibili grazie ad un provvedimento fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle. E quindi, per osmosi ideologica, anche quest’ultimi «non potevano non sapere». Sarebbe da folli. Lo stesso, pari, vale le tante storture acclarate relative al superbonus.

 

 

Nessuno mai si sognerebbe di dire che i dirigenti di Verdi e Sinistra Italiana, nel noto caso della famiglia Soumahoro, «non potevano non sapere». Sarebbe, anche qui, da folli. Così come è da folli pensare che il Presidente del Consiglio in carica possa avere il maniacale controllo, addirittura privato dei, tanto per dirne una, consiglieri regionali o deputati iscritti al suo partito. Perché in quel caso si chiamerebbe setta: lì vale certamente il principio del «non poteva non sapere». Forse alcuni, comincio ad avere qualche dubbio, pensano che gli avversari politici siano così. Per fortuna poi c’è il popolo, quello che vota e vive la realtà. Altro che setta.

 

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