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Su Gino Cecchettin l'ipocrisia dello scandalo: nulla di immorale

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Domenico Giordano
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È da ipocriti far finta di scandalizzarsi. Non c’è nulla di strano o di immorale nella scelta di Gino Cecchettin di affidarsi a un'agenzia di comunicazione. Il padre di Giulia, la ventiduenne uccisa brutalmente lo scorso novembre dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ha scelto la Andrew Nurberg di Londra, uno studio che solitamente si occupa di scrittori e autori di fiction, per farsi assistere e guidare nelle prossime uscite pubbliche. Se saltiamo fuori dalla trincea italiana e attraversiamo l’oceano Atlantico potremmo facilmente constatare come oggi sia una consuetudine consolidata affidarsi a società specializzate alle quali delegare la gestione della comunicazione, aziendale e personale, per chi è stato protagonista, volontario o meno, di una enorme e improvvisa popolarità. Inoltre, vale la pena rammentare che l’acquisizione dello status di celebrità è un processo molto più veloce, immediato e complesso rispetto al recente passato, così come, la popolarità è diventata una condizione intrinsecamente pericolosa e lesiva dell’immagine di chi inizialmente ne ha beneficiato, in particolare quando è lasciata totalmente libera di esprimersi nella foresta della Rete.

 

 

Del resto, tutti noi siamo felicemente immersi, qualcuno fino alle ginocchia ma la maggior parte di noi fino al collo, nell’era della comunicazione, dove ogni nostra azione, iniziativa, parola, scritto e pensiero ha ragione d’essere solo e soltanto se condiviso con la bolla. Solo e soltanto se guadagna il giusto numero di visualizzazioni e di interazioni. La comunicazione, in special modo nell’universo della politica, ha smesso di essere un semplice strumento, un mezzo neutrale al quale affidare la trasmissione di un messaggio, per diventare essa stessa contenuto. Quindi è arrivato il momento di aggiornare il pensiero del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach che sosteneva che «noi siamo quello che mangiamo», e di accettare come nell’età delle piattaforme noi siamo unicamente e prioritariamente «quello che comunichiamo».

 

 

Pertanto, diciamolo a chiare lettere e spogliandoci dei panni di un moralismo infeltrito e tarlato, Gino Cecchettin ha fatto una scelta inevitabile e necessaria, in particolare se pensiamo al tema delicatissimo dell’educazione affettiva dei giovani sul quale sin da primi giorni del ritrovamento del corpo di Giulia si è detto pronto a impegnarsi. La qualità formativa del prossimo impegno dipenderà, da un lato dalla costruzione di un messaggio depurato da ogni strumentalità e, dall’altro, da un insegnamento che proprio Cecchettin dovrà mettere a frutto e che di recente è costato caro a Chiara Ferragni: la comunicazione è un eco-sistema molto fragile, che può incepparsi per una sciocchezza, un fuori onda o una parola fuori posto, dove la coerenza tra ciò che si dice in pubblico e le azioni del privato deve essere assoluta, senza alcuna sbavatura, senza nessuna increspatura. Quindi, se questo rimane il suo obiettivo sociale sul quale far vivere la memoria di Giulia, ha fatto più che bene a chiedere il supporto di professionisti della comunicazione.

 

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