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Incidente youtuber: monetizzare l'idiozia, ecco qual è il meccanismo distorto

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Gianluigi Paragone
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Da giorni si discute della morte di un bambino a bordo di una macchina colpita dal suv guidato follemente da un gruppo di giovani. Se guardiamo al fatto in sé non andremo lontano, purtroppo. Sono anni che scrivo della pericolosità di certi meccanismi avvitati alle dinamiche dei social e anche nel mio imminente libro «Moderno sarà lei» cerco di spiegare che nel mondo dei social nulla è casuale e che di eventi così drammatici se ne contano parecchi. Tutto segue una logica imprenditoriale precisa, distorta e tossica, come dimostra l’aumento dei follower dopo la strage e il mantenimento on line delle loro sfide folli. Chi pensa che questo gruppo di youtuber, i Bordeline, siano un unicum non conosce l’imprenditoria che gira attorno alle piattaforme. Come loro ce ne sono a bizzeffe, coagulano comunità che si parlano con gli stessi linguaggi o linguaggi affini: dalla sottolineatura della «riccanza» al bullismo lessicale dove ogni aspetto della vita quotidiana ha un prezzo. Il messaggio tossico è il seguente: le piattaforme alimentano l’illusione che si possano fare soldi alzando l’asticella della sfida o della stupidità sempre più in alto; «più cazzate si fanno o si sparano e più ti guardano e quindi fai soldi» è l’invito sottinteso. Ed è vero, ci sono video con un numero di visualizzazioni inversamente proporzionale all’intelligenza degli stessi. Per non dire dei commenti che tali video attirano.

 

 

C’era un celebre sketch di Totò con Mario Castellani dove il Principe si prendeva schiaffi e offese da un energumeno al posto di un certo Pasquale; più ne prendeva e più rideva giustificandosi così: «Volevo vedere dove voleva arrivare». Fintanto che Castellani gli rivolge la domanda che tutti avremmo voluto fare immediatamente: ma perché non hai reagito? «E mica so Pasquale, io», sentenziava Totò liquidando la questione. Anche in questa vicenda drammatica, che - ripeto - non è un caso isolato, pure noi vogliamo vedere dove vogliono arrivare. L’errore che commettiamo è confondere Pasquale: Pasquale non sono i Bordeline (che ovviamente se la vedranno con la giustizia e con il peso di una vita che ora presenterà loro il vero conto) ma i Padroni della Rete, i quali alimentano questo tipo di «economia» riconoscendo una controprestazione, cioè la monetizzazione, alle folli prestazioni o degrado culturale. Cosa ci guadagnano i Signori delle app? Tutto, nel senso che il loro business sta nel tenere sempre connessa la Grande Massa dei follower e seguirla (profilarla) dalla culla alla bara.

 

 

Il Capitalismo della Sorveglianza è il capitalismo della predazione dei nostri dati e dell’uso predittivo che si fa di ciò che lasciamo sul web e nelle app. A YouTube, Instagram, Facebook, TikTok non interessano i contenuti dei video (anzi più idioti sono, meglio è), a loro interessa individuare i filoni acchiappagente e tenerli accesi premiandoli con la monetizzazione. Sono loro che muovono la viralità dei video; pertanto le sfide impossibili - le challenge - sono un pezzo di palinsesto che loro cercano. Dipendesse da me: se per colpa di questo meccanismo perverso ci scappa il morto, ne risponde anche chi quella perversione la mette in rete e non la blocca. Del resto, da YouTube a Facebook sono maestri di censure...

 

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