Giù le mani da Chiocci. Gli attacchi infami dei compagnucci di Repubblica
Da ormai otto mesi, da quando il centrodestra ha vinto le elezioni, non solo le scelte ma persino le intenzioni del Governo vengono sottoposte al giudizio del tribunale delle presunzioni (più che delle inquisizioni) di sinistra. Il bollettino delle sentenze si può trovare principalmente su La Repubblica. Non c’è nomina delle quasi mille fatte – da quelle dei ministri sino a quelle degli uscieri – che non sia stata criticata (solitamente sulla base del nulla assoluto) con supponente veemenza. Ciascuno scrive e pubblica ciò che vuole ma ieri questo metodo da macelleria mediatica Repubblica lo ha usato per screditare in maniera infame un bravo collega: Gian Marco Chiocci.
Il nome di Chiocci è da mesi sbattuto sui giornali come possibile prossimo direttore del Tg1 voluto da Giorgia Meloni. E nessuno ha mai trovato né può trovare nulla di fondato per criticare Chiocci, così Repubblica ha tentato di sollevare dubbi sulla sua figura perché da giornalista aveva incontrato Massimo Carminati e per questo era finito in una paginetta delle migliaia dell’inchiesta Mafia Capitale. Peccato che Chiocci non solo è stato completamente prosciolto ma è stato prosciolto perché il fatto non sussiste: faceva solo il suo mestiere, quello di giornalista. Non è mai stato neppure rinviato a giudizio: zero.
Ora che a Repubblica le sentenze (e la giustizia) siano rispettate solo se condivise non è una novità, ma che si screditino gratuitamente dei colleghi solo per colpire un governo è oltre l’antigiornalismo. È proprio infamia. Ma non basta. Perché – non avendo nulla di concreto su cui attaccare Chiocci – vengono messi in mezzo pure il padre 92enne (Francobaldo Chiocci, giornalista raro, con la G enorme non maiuscola), la moglie (altra autorevole e seria collega) e pure i figli. Minorenni. Tutti buttati lì, così.
Io sono un signor nessuno, venuto dal nulla ma cresciuto giornalisticamente con dei valori, primo dei quali il rispetto della verità e delle persone. Non ho problemi a sostenere che a Repubblica ci sono giornalisti bravissimi. Ce ne sono ovunque. Come ovunque ci sono giornalisti cani. E non ho problemi a bollare l’attacco a Chiocci come infame. Lo ripeto. E lui sì, lo difendo. Voglio difenderlo. Non per amicizia. Né solo per stima professionale. Ma rendendogli il merito del suo lavoro: da giornalista è stato uno dei cronisti giudiziari e d’inchiesta più bravi degli ultimi decenni – ma essendo fedele alle sue idee senza vendersi a nessuno è rimasto incastrato nell’universo del centrodestra in cui l’egemonia (presuntuosa e spocchiosa) di sinistra l’ha da sempre relegato (lui come molti altri). Lo difendo riconoscendogli il merito del suo lavoro, dicevo, ma non solo.
Da direttore si è dimostrato anche un uomo altruista (cosa parecchio rara) e capace di difendere una squadra di colleghi: è merito principalmente suo (e degli editori) se questo nostro giornale, Il Tempo, è ancora in vita. Chiocci, infatti, è riuscito a traghettarlo nei difficili e complessi mesi nel passaggio di proprietà avvenuto ormai sei anni fa, salvandolo dal fallimento. Prima di essere un bravo giornalista, Chiocci è un uomo. Che non ha bisogno di nessuna difesa. E al quale queste parole sicuramente non servono, non cambiano nulla. Ma è fastidioso lo stillicidio gratuito nei confronti di ogni singola persona che gravita attorno a questo esecutivo. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani hanno il sacrosanto diritto di governare, scegliersi uomini e donne di fiducia, nominarle nelle società controllate, in Rai, nei ministeri, ovunque ritengano necessario esattamente come hanno fatto tutti i loro predecessori negli ultimi decenni. Ed è un diritto conquistato nelle urne, con il voto democratico espresso dagli italiani. Così come Chiocci ha conquistato per meriti i suoi incarichi attuali e meriterà i futuri. Qualunque essi siano. A me stesso, a tutti i colleghi, compresi quelli di Repubblica, auguro di poter avere un percorso altrettanto immacolato e meritorio come quello di Gian Marco Chiocci. Al quale invece auguro di avere sempre la forza e l’ironia necessarie per ignorare anche le più infami delle infamità.