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Sui migranti il Pd di Schlein cambia idea e rinnega la linea Minniti

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Il voto alla Camera sugli ordini del giorno collegati al decreto immigrazione ha certificato il cambio di linea del Pd, che ha definitivamente archiviato la realpolitik dell’era Minniti per iscriversi al fronte dell’ultrasinistra radicale. La segretaria Schlein ha infatti ordinato di votare l’odg presentato da Sinistra Italiana che bocciava con parole durissime gli accordi con la Guardia costiera libica trattati nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Minniti e siglati dal premier Gentiloni e dal suo omologo Al Serraj. La premessa dell’ordine del giorno era tranciante: il memorandum del 2017 «di fatto crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura tali da costituire crimini contro l’umanità», e questo passaggio ha lasciato interdetti diversi deputati dem, alcuni dei quali alla fine non hanno partecipato al voto per non mettere così pesantemente sotto accusa le scelte di un governo guidato dal Pd. Mentre non sono state sollevate obiezioni sul dispositivo che impegnava il governo «a sospendere immediatamente tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori fino a quando non verranno ripristinate le condizioni minime di sicurezza». Il Memorandum, rinnovato automaticamente nel febbraio scorso per altri tre anni, prevede che il governo italiano fornisca aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche - in particolare alla Guardia costiera - nel tentativo di ridurre il traffico di migranti nel Mediterraneo mentre in cambio la Libia si impegna a migliorare le condizioni dei propri centri di accoglienza per migranti. L’obiettivo, come ha più volte spiegato Minniti rispondendo alle accuse, era quello di «sostituire alla moneta cattiva del traffico di migranti la moneta buona della cooperazione nonché del ritorno in Libia dell’Onu», invitando la sinistra a non essere ipocrita, perché il persistente caos libico comporta un rischio enorme di flussi migratori incontrollabili.

 

 

I finanziamenti sono proseguiti anche con i governi Conte e poi con Draghi, che dopo il vertice a Tripoli col nuovo premier Dbeibeh arrivò a ringraziare pubblicamente la Libia «per quello che fa nei salvataggi dei migranti», ricordando che dal punto di vista umanitario l’Italia è l’unico Paese che continua a mantenere attivi i corridoi sanitari. Di quel governo faceva parte anche il Pd ma la Schlein, col partito finito all’opposizione, appena vinte le primarie ha annunciato che il Pd non avrebbe più votato il rinnovo dei finanziamenti alla Guardia costiera libica. Che non è certo un club di gentiluomini: è divisa in fazioni, una delle quali è accusata dall’Onu di lucrare sul traffico di migranti invece di arginarlo, e di riportarli sistematicamente in centri considerati veri e propri lager. E nonostante i 57 milioni di euro spesi dalla Commissione europea attraverso il ministero dell’Interno italiano, soggetto attuatore del finanziamento, non dispone ancora di un comando centrale a cui fare riferimento.

 

 

Ma secondo le cifre aggiornate a ieri i migranti arrivati in Italia hanno già superato quota 42 mila, a fronte degli 11.500 del 2022, e togliere i finanziamenti alla Guardia costiera libica significherebbe dare disco verde agli scafisti e alle partenze incontrollate. L’Italia aveva chiesto che fossero le missioni europee Sophia ed Irini a ricostruire una Marina libica in grado di gestire autonomamente e nel rispetto del diritto umanitario i flussi migratori provenienti dal Sahel e dal Corno d’Africa. Un progetto mai decollato anche per l’irruzione della Turchia, che nel 2020 iniziò ad addestrare una parte della Guardia costiera di Tripoli per espandere la propria influenza nel Mediterraneo, con l’obiettivo di controllare due rubinetti dei flussi migratori (quello turco e quello libico). Se dunque passasse la linea Schlein, l’immigrazione verso le nostre coste aumenterebbe senza alcuna garanzia di rispetto dei diritti umani e con un danno certo al nostro interesse nazionale.

 

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