Gli sciacalli antisemiti inneggiano alla morte di un italiano tra ignoranza e odio
La sera del venerdì santo un giovane avvocato italiano - Alessandro Parini - è stato ucciso da un terrorista palestinese a Tel Aviv e sui social si sta esultando oscenamente con un mix di ignoranza e odio che hanno come denominatore comune l’antisemitismo, a dimostrazione che in Italia purtroppo alligna e prospera la mala erba dei fiancheggiatori morali di terroristi, dittatori e nemici della democrazia, per i quali i morti per mano palestinese meritavano semplicemente di morire. «Ben gli sta!», non doveva andare a visitare quel Paese di emme, è solo un triste esempio di questo infame bestiario che semplifica in modo brutale un pregiudizio contro Israele purtroppo condiviso e alimentato anche da una radicata incultura politica. Le critiche ai governi di Israele sono ovviamente legittime, ma sotto l’antisionismo allignano sempre i germi antichi dell’antisemitismo. Basterebbe forse conoscere un po’ la storia per comprendere che la salvaguardia della nostra civiltà e la difesa del diritto di Israele all'esistenza sono due facce della stessa medaglia. Un diritto che fu messo in discussione fin da quando, il 14 maggio del 1948, Ben Gurion annunciò la nascita dello Stato di Israele sulla base della risoluzione 181 delle Nazioni Unite. Ebbene, gli eserciti arabi gli mossero immediatamente guerra perché ne disconoscevano il diritto ad esistere, anche se fino al 1945 in Medioriente viveva un milione di ebrei, e si trattava di ebrei che vi risiedevano da generazioni.
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Nel '67 Israele subì un attacco concentrico da parte di Egitto, Iraq, Siria e Giordania, vinse la guerra dei Sei giorni e conquistò la zona occupata dalla Giordania. La fulminea sconfitta degli eserciti arabi segnò un salto di qualità, e dall'odio nei confronti di Israele e degli israeliani si tornò all'odio generalizzato nei confronti degli ebrei in quanto ebrei, indipendentemente dalla loro nazionalità. Dall'inizio della sua storia, Israele non ha mai iniziato un conflitto, ma ha sempre reagito ad attacchi contro l'integrità del suo territorio e contro la sua popolazione. Quando ha colpito Gaza, lo ha fatto perché Hamas ha bersagliato le sue città con una pioggia di missili. Hamas è l’emanazione diretta in Palestina del regime iraniano, un’organizzazione finanziata e armata dall’Iran con l’obiettivo di destabilizzare il Medioriente e di rendere impossibile qualsiasi accordo tra palestinesi e israeliani. Non a caso ha nel suo statuto fondativo la cancellazione dello Stato di Israele. Le sue azioni terroristiche, iniziate subito dopo che Israele si ritirò nel 2005, sono parte integrante di una guerra santa condotta con ogni mezzo, incluso il farsi scudo della popolazione civile, nel quadro di un assalto generalizzato in nome della rinascita islamica. Nessuna tregua potrà mai tradursi in una pace duratura finché Gaza sarà in mano ad Hamas, e il tentativo di sradicarne le basi non può dunque essere considerato una violazione del diritto internazionale, né un eccesso di legittima difesa.
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Israele è un Paese democratico, ricco di valori che appartengono alla tradizione giudaico-cristiana, ed è l’avamposto occidentale in Medio Oriente: eppure l’Europa gli ha spesso voltato le spalle, arrivando a boicottarne i prodotti e a finanziare ong palestinesi legate al terrorismo. Tredici anni fa l’allora premier Silvio Berlusconi, che fu accolto a Tel Aviv come «l’amico più grande», propose l’ingresso di Israele nell’Unione Europea, nella consapevolezza che il germe peggiore dell’antisemitismo si annida tra chi – persona, organizzazione o Stato – nega al suo popolo il diritto di esistere. Prima di lui era stato Marco Pannella a dire che Israele «è la testa di ponte della democrazia, dei valori e delle istituzioni democratiche in Medio Oriente». Una lezione troppo spesso dimenticata, e l’antisemitismo genera ancora mostri, come gli sciacalli che inneggiano sui social alla morte di un italiano a Tel Aviv.
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