Elezioni, il déjà vu sull'astensionismo nella civiltà digitale
Oramai il dibattito sul partito del non voto e sulle ragioni possibili e plausibili che determinano l’astensionismo crescente, è diventato un appuntamento fisso nei giorni immediatamente successivi all’ultima tornata elettorale. Per la verità, ci si comincia a interrogare sulla disaffezione dei cittadini per le sorti della democrazia rappresentativa, già con le prime rilevazioni sull’affluenza ai seggi, ma il tema come d’abitudine, rimane al primo posto dell’agenda politica meno del tempo necessario alla confezione di latte fresco di scadere: tre giorni al massimo, poi può essere buttato via. Insomma, il solito déjà vu, l’astensione è argomento che infiamma i talk televisivi fino a metà della settimana post-voto e poi finisce nel cassetto fino alla prossima elezione.
Così, puntualmente anche a valle del voto regionale in Lombardia e nel Lazio, dove si sono recati alle urne il trenta per cento in meno degli aventi diritto rispetto al turno precedente del 2018, riprende fiato e vigore il dibattito sulla deriva astensionista e sulle cure necessarie a contrastarla. In particolare ad animare il ballo delle riflessioni a tempo, sono maggiormente quei partiti che dalle urne escono alquanto malconci, non foss’altro per provare a dare alla sconfitta un’aurea di inevitabilità. A prescindere, insomma, dalle responsabilità soggettive, che passano così in secondo piano. È successo anche stavolta con diversi esponenti e testate di centro-sinistra che pur di scansarsi dalle conseguenze della débâcle preferiscono discettare sulle motivazioni dell’astensione dilagante, in particolare tra i giovani, dimenticando, però che nel 2014 Stefano Bonaccini fu eletto presidente dell’Emilia Romagna con il 37,71% dei votanti o che Mario Oliviero, anche lui del Partito Democratico, fu invece eletto nello stesso anno presidente della Regione Calabria con il 44,08% di votanti.
Eppure, amnesie a parte e di parte, il dibattito sull’astensione oltremisura nelle democrazie rappresentative meriterebbe per davvero una convergenza prioritaria da parte dei leader e delle forze politiche che ne sono a traino, per evitare che si arrivi nei fatti a una sorta di democrazia definita da diversi studiosi “a suffragio ristretto”. Ad aprile dell’anno scorso alla Camera fu presentata la relazione dal titolo ambizioso: “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, esito finale dei lavori della Commissione speciale per “favorire la partecipazione dei cittadini al voto” voluta dall’allora ministro Federico D’Incà e presieduta da Franco Bassanini. Il libro bianco si concentrava in particolare su alcuni punti da adottare per spronare gli italiani a rinnamorarsi dell’articolo 48 della Costituzione, “il suo esercizio - del voto- è dovere civico” e nello specifico ce n’erano alcuni degni di nota. La digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali; il voto anticipato presidiato, che consentirebbe all'elettore che prevedesse di avere difficoltà a recarsi al seggio nei giorni previsti per la votazione di potere esercitare il suo diritto di voto nei giorni precedenti l'elezione in qualunque parte del territorio nazionale, con le garanzie proprie del tradizionale procedimento elettorale; il voto, nel giorno delle elezioni, in seggi diversi dal proprio, ma collocati nella stessa circoscrizione o collegio elettorale; oppure, l'individuazione di sedi alternative agli edifici scolastici al fine di ospitare i seggi elettorali.
Va detto però, senza che Bassanini la prenda a male, che tutti questi incentivi proposti dalla Commissione sembrano pensati e paiono utili molto di più per coloro i quali hanno comunque una propensione al voto, che appartengono, seppur con intensità diverse a quella parte di cittadinanza che si informa e che è solita andare ai seggi. Mentre, poco o assai limitatamente, questi rimedi possono convincere le persone ad andare a votare, ciò che gli americani chiamano “get out the vote” e per il quale hanno da tempo elaborate precise tecniche da adottare a ridosso delle campagne elettorali. Forse, il dibattito su come curare l’astensionismo dovrebbe essere affrontato a partire da una provocazione fatta qualche mese fa da Ferdinando Adornato e caduta nel vuoto pneumatico della politica. Adornato si chiedeva se “la civiltà digitale, che ormai domina la nostra vita, sia pienamente compatibile con la democrazia rappresentativa”, ovvero messa in altro modo se per prenotare il vaccino o firmare per un referendum uso l’app o lo SPID dalle smartphone ha ancora senso utilizzare la matita e la scheda elettorale in un mondo sempre più dematerializzato? La risposta ovviamente al giorno dopo le prossime elezioni.