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Legge di Bilancio, perditempo al lavoro: il rito degli emendamenti inutili

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Gianfranco Ferroni
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Anche quest'anno si è svolto lo stucchevole rito della «legge di bilancio», meglio nota al grande pubblico come «finanziaria» sebbene da molto tempo non si chiami più così. Forte di una maggioranza schiacciante, il governo comunque ha dovuto assistere alla Camera dei Deputati all'ennesimo rituale degno della prima repubblica, non certo di un mondo che vive nel 2022: ammirevole la pazienza di Giobbe del presidente di turno dell'assemblea, Giorgio Mulé, che grazie alla sua esperienza maturata al ministero della Difesa come sottosegretario aveva numerose armi, in questo caso dialettiche, da utilizzare.

 

Nonostante la sua conduzione super partes ha dovuto subire le ire, le ironie, e le isterie, del parlamentare che maramaldeggiava sull'utilizzo della parola «fax», forse non sapendo che in tante amministrazioni esistono ancora le comunicazioni per mezzo dei telegrammi, e ammirare le contorsioni dei votanti che si sarebbero subito poi messi in lista d'attesa per l'ortopedico. Assistendo alla lunghissima ultima seduta, non si poteva non riflettere sulla stanca ripetizione di logoratissimi copioni, roba che il fax sembra una vera modernità: c'è quello che deve far notare la sua vicinanza a un problema particolare o una comunità, chi presenta un testo da votare, come un articolo aggiuntivo e poi si accontenta della «raccomandazione» (che in politica ha sempre un suo perché), o un invito al ritiro, una richiesta di accantonamento, per non parlare di quelli che a notte fonda sbraitano contro la luna (e qui appaiono i lupi) nel nome dell'ambientalismo parolaio, di facciata.

 

Una marea di «emendamenti perditempo» che servono solo a dare una effimera notorietà al firmatario, da portare un domani in un incontro televisivo affermando (con toni degni di Vittorio De Sica nei panni dell'avvocato pronto a difendere la «maggiorata» Gina Lollobrigida nel film «Altri tempi» di Alessandro Blasetti) la famosa frase «noi ci eravamo battuti fino allo stremo», ovvero una formula che vale per qualsiasi causa, ma che in un talk show del piccolo schermo fa sempre effetto. Il risultato? Notti sprecate per nulla, migliaia di alberi abbattuti per stampare su carta (altro che fax) lavori parlamentari che verranno consegnati al cestino della storia minore, occupando sistematicamente i tavoli degli uffici e che solo pochi intimi leggeranno, quando si deve dare il parere del governo.

Deve finalmente diventare una questione di serietà, per l'opposizione, quella di limitare a pochi argomenti essenziali la produzione di testi antigovernativi: serve uno sforzo di intelligenza per presentare solo quelli che possono effettivamente trovare un accoglimento da parte dell'esecutivo. Altrimenti si fa solo un inutile «bla, bla, bla».

 

Dando spazio e lavoro solo ai perditempo. Una democrazia moderna, dove il tempo è denaro, non può permettersi regole antiquate e contrarie agli interessi della Nazione. I giochini di una volta lasciamoli stare, quando alla sagra del piccolo comune il parlamentare eletto distribuiva le sue cartuccelle per confermare davanti ai paesani il suo sostegno al finanziamento di un evento. Anche perché, a furia di occuparsi di piccole cose, di bagatelle, l'opposizione arretrerà sempre di più. E quando un emendamento viene approvato, poi, accade per errore. Perstanchezza. 

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