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Saviano smetta di fare la vittima e abbia coraggio

Strumentalizza il processo per aver dato della «bastarda» a Meloni, mentre invece è un'occasione per lui. L'editoriale di Davide Vecchi

Davide Vecchi
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Roberto Saviano è stato rinviato a giudizio a seguito di una querela presentata da Giorgia Meloni che si è ritenuta diffamata dall'epiteto «bastardi» (riferito a lei e a Matteo Salvini) scandito dallo scrittore a fine 2020 nel corso di una puntata di Piazza Pulita. La prima udienza del processo si è tenuta il 15 novembre e da allora (quindi da dodici giorni) Saviano ha messo in atto una campagna aggressiva nei confronti dell'attuale presidente del Consiglio affinché ritiri la querela spacciando lui per vittima e lei per carnefice quando in realtà è l'esatto opposto. Almeno così dice la legge. Ma si sa, i paladini della giustizia tendono a rispettarla (e invocarla) quando si applica agli avversari, mentre se ne dimenticano volentieri quando sfiora loro (e gli amici).

Ora, ciascuno è libero di scegliere come essere uomo e come essere giornalista. Ma io da uomo e da giornalista provo molta tristezza e profonda pena per Saviano. Da uomo provo molta tristezza nel vedere un quarantenne spaventato e incapace di affrontare le conseguenze delle proprie azioni, da giornalista provo profonda pena nell'assistere a questa deprimente sceneggiata piagnucolante per una querela: dovrebbe essere felice e orgoglioso di poter dimostrare in un'aula di tribunale la veridicità delle sue opinioni.

Questo comportamento è oggettivamente e (umanamente) imbarazzante per l'intera categoria. E lo è ancor di più perché palese è la strumentalizzazione di Saviano: l'autore di Gomorra da settimane ripete e scrive che è stata Giorgia Meloni a mandarlo a processo. Niente di più falso. Sicuramente lo scrittore sa bene che chi querela presenta una denuncia ed è poi un giudice a decidere se quella denuncia è fondata (e quindi dispone il rinvio agiudizio, il processo) o non ha motivo di essere (e quindi archivia il procedimento). Dunque o Saviano ignora la procedura - cosa al quanto improbabile-osta volontariamente alzando fumo per aizzare il suo circo mediatico affinché lo difenda e attacchi Meloni. Questo è infatti il risultato ottenuto. Ma il processo mica lo ha disposto l'inquilino di Palazzo Chigi. Saviano se la prenda con il giudice che - ripeto - ha ritenuto fondata la diffamazione contestata da Meloni. È molto semplice.

Nel mio piccolo, se considero solo i quasi dieci anni trascorsi al Fatto Quotidiano, ho ricevuto almeno una quarantina di querele e persino un processo d'ufficio avviato da un magistrato di Siena (l'unico caso in Italia). Non ne ho persa nessuna e al tribunale toscano sono stato pienamente assolto (ora quel pm è indagato a Genova, si chiama Aldo Natalini ed è accusato di falso ideologico per il caso di David Rossi). Mai ho avuto paura di scoprire che quanto avevo scritto fosse sbagliato: può capitare. Ma appunto si affronta.

È palese la strumentalizzazione attuata da Saviano. E dè un peccato. Perché con questo vittimismo immotivato ha semplicemente finito di demolire l'immagine del paladino della giustizia che si era costruito, quell'alone da eroe che lo accompagna (insieme alla scorta) da quasi venti anni (Gomorra è del 2006) che con indomito coraggio sfida a volto scoperto e testa alta persino la mafia, figurarsi i politici. Peccato. Ci abbiamo creduto. Ma gli eroi sono alla testa dei cortei e non si nascondono in fondo mandando avanti gli altri.

Spero abbia uno scatto d'orgoglio e ringrazi Meloni di averlo querelato così potrà dimostrare in un'aula di giustizia quanto fondata fosse la sua opinione. Anzi, ora che lei è premier, la sfidi: se io Saviano perdo, pago quanto e come stabilirà il tribunale (del resto nella giustizia bisogna crederci sempre, o no?), se invece perde lei, presidente del Consiglio, si impegna a introdurre (finalmente) una bella legge sulla lite temeraria. Ecco. Speriamo in un ritrovato orgoglio. Altrimenti Saviano sarà l'ennesima bandiera che la società civile dovrà ammainare prendendo atto di aver nuovamente visto male.

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