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Il mondo alla rovescia della Fifa di Gianni Infantino

Riccardo Mazzoni
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Alla vigilia della partita inaugurale dei Mondiali di calcio, il presidente della Fifa Infantino, per difendere sé stesso dalle critiche ha scelto di andare all’attacco finendo per affondare in una palude di improbabili verità storiche fino al paradossale rovesciamento della realtà per cui l’Europa dovrebbe prendere lezioni di diritti umani dal regime qatariota, dove per inciso la sharia è la principale fonte legislativa. Secondo l’Infantino-pensiero («Oggi mi sento arabo, gay e migrante»), per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi tremila anni dovremmo scusarci per i prossimi tremila prima di dare lezioni morali agli altri. E poi «noi in Europa chiudiamo le frontiere, creiamo stranieri illegali», mentre per i lavoratori stranieri il Qatar viene descritto come una sorta di Eden in cui «ognuno è benvenuto di qualunque religione, di qualunque orientamento sessuale sia». Peccato che sul regime pesino le denunce dello Human Right Watch in riferimento ai sistematici abusi a cui sono stati sottoposti i lavoratori migranti, e che il Guardian, dopo aver avuto accesso a documenti governativi qatarioti, abbia rivelato che in dieci anni sono morti 6.500 operai impiegati nelle costruzioni legate ai Mondiali. Non solo: l’ambasciatore dei Mondiali – l’ex calciatore Khalid Salman – ha appena definito l’omosessualità come una «malattia mentale», tanto per dare un’idea di quanto siano falsi e solo tattici i progressi su questo fronte. Criticare i Mondiali, dunque, sarà anche ipocrita, come sostiene Infantino, ma forse è meglio essere ipocriti che mascherare la realtà: il calcio è ormai un business globale, e la bussola della Fifa indirizza le competizioni dove c’è più denaro, esattamente come le aziende occidentali che lucrano miliardi dal Qatar e che il presidente ha ipocritamente messo ieri sotto accusa. Sbandierare poi come una svolta epocale le timide riforme varate in vista dei Mondiali è un’apertura di credito smisurata nei confronti di un Emirato che tutto ha nel suo orizzonte meno che l'approdo alla democrazia.

 

 

 

 

«La Fifa ha dimostrato che il calcio ha un ruolo importante da svolgere nel migliorare la consapevolezza sulle questioni dei diritti umani», ha detto recentemente Infantino, in linea con lo statuto Fifa («La discriminazione di qualsiasi tipo nei confronti di un paese, un soggetto o un gruppo di persone per motivi di appartenenza etnica, sesso, lingua, religione, appartenenza politica o per qualsiasi altro motivo è da ritenersi rigorosamente vietata e punibile con la sospensione o l’espulsione»). Ma perché, allora, la Fifa ha concesso un palcoscenico globale come i Mondiali di calcio al regime teocratico iraniano mentre non solo si rifiuta di rispettare i diritti umani e le dignità fondamentali, ma attualmente tortura e uccide la sua stessa gente con una repressione che ha già falciato la vita perfino dei bambini che manifestavano per la libertà? È la domanda senza risposta rivolta ai vertici del calcio da Open Stadiums, l’organizzazione iraniana per il libero ingresso delle donne negli impianti sportivi a cui Infantino ha risposto pilatescamente «di mettere la politica da parte e concentrarsi sul calcio». Mentre gli atleti iraniani impegnati nelle competizioni internazionali stanno mostrando al mondo il loro dissenso verso le atrocità del regime di Teheran, rifiutandosi di cantare l’inno della Repubblica islamica, la Fifa si volta insomma dall’altra parte, invocando una tartufesca «ragion di calcio». I diritti umani possono attendere.

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