Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

La politica ha perso: non muove un passo senza i tecnici. Sentenza di Paragone

Gianluigi Paragone
  • a
  • a
  • a

Il 7 ottobre 1985 cominciava con il sequestro prima e il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro poi quella che è passata alla storia come la «crisi di Sigonella», scena finale della vicenda che coinvolse il governo italiano, la Casa Bianca e diversi soggetti dell'area mediorientale mediterranea. Per tutti Sigonella rappresenta il punto più alto della capacità dell'allora nostro governo di tenere testa alla spinta unilateralista dell'America ovvero sbrigare le cose «a modo loro». Bettino Craxi contro Ronald Reagan, con quest'ultimo che alla fine dovette ripiegare e dare l'ordine ai militari di liberare l'area della base Nato (quella di Sigonella appunto): una umiliazione che il deep state Usa non dimenticherà facilmente. A Sigonella accadde qualcosa che - vale la pena rimarcare - mai era accaduto prima, se non per azione di un altro grande italiano che pagò a caro prezzo l'ostinazione di non chinare il capo di fronte ai più grandi: Enrico Mattei, il signor Eni. Craxi come Mattei fece valere le ragioni dello Stato e della Nazione. Oggi parleremmo di sovranismo, allora era soltanto il pensare di essere dalla parte del giusto: Mattei perché convinto che l'Italia dovesse avere una propria autonomia energetica, Craxi perché convinto che l'Italia dovesse mantenere una propria centralità nelle relazioni internazionali specie nel Mediterraneo. Il dirottamento dell'Achille Lauro per mano di terroristi era una prova decisiva per chi come Craxi e Andreotti tessevano la rete relazionale con il mondo arabo e filopalestinese, allo scopo di guadagnare un ruolo in un'area strategica. Al netto delle ragioni del diritto internazionale, quel governo era chiamato alla prova più delicata, e la superò anche a costo di schierare i nostri carabinieri contro le milizie americane, perché quella notte nella base di Sigonella attorno all'aereo della EgyptAir si andò oltre la tensione politico/diplomatica lambendo lo scontro a fuoco.

 

 

Pensare dunque a quei giorni di quasi quarant'anni fa e confrontarli con l'atteggiamento di sudditanza, di subalternità, perfino di sottomissione che stiamo avendo da decenni nei confronti degli Stati Uniti così come di altri soggetti (quali i mercati finanziari, le multinazionali, gli over the top della Silicon Valley, i distretti elitari quali Trilateral, Bilderberg, Aspen, Club dei Trenta dove si incrociano i soliti padroni, di vecchie o di nuove economie) ci dovrebbe servire da lezione. Allora vinse la Politica. Oggi la politica non muove un passo senza i... tecnici. Il tecnicismo è diventato potere decisionale in modo così sfacciato da diventare imprenscindibile pezzo del manuale Cencelli: Draghi, Monti, Franco, Panetta, Bernabè, Cingolani, Colao, i prefetti e compagnia cantante. E perché mai?

 

 

Craxi a Sigonella prese una decisione da vero leader, chiedendo ai corpi intermedi di attuarla. In queste ore fa scalpore lo sprezzo con cui i francesi vorrebbero giudicare il futuro governo italiano; mi domando: perché tanta sorpresa? Come se fosse un inedito del repertorio europeo, stuzzicare gli italiani: lo fanno tutti, persino danesi e olandesi. A poche ore dal voto la presidente della Commissione europea, la signora Ursula, ebbe a dire che se gli italiani avessero votato male, l'Europa aveva tutti gli strumenti per correggere quel voto. Una sfida alla democrazia che non mosse alcuna critica severa da parte né del Capo dello Stato né del presidente del Consiglio, il quale a sua volta da banchiere centrale ammonì che le riforme si fanno a prescindere col pilota automatico, ovvero l'esaltazione del tecnicismo.

 

Dai blog