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Luigi Di Maio, il sogno finito di ministro degli Esteri

Arnaldo Magro
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«Da grande farò il lobbista». Anche se poi, concretamente, ancora non so bene cosa si intenda. Ripongo nel cassetto i sogni da bambino. Non è più tempo e in un baleno, mi sono riscoperto uomo. Da grande, non farò il pompiere e neanche il pilota d’aereo. Il destino mi ha sorriso. Nonostante le delusioni ultime, sono stato fortunato. Lo devo riconoscere a me stesso. Forse anche a questo Paese, che pure all’inizio, ho tanto denigrato. Riporto la testa al suo peso normale. Chiuderò alle mie spalle questo ufficio grande grande. Dalla finestra, vedevo lo stadio Olimpico. Non vi saranno più bandiere tricolore dietro di me. Mi hanno fatto compagnia in questi ultimi venti mesi. Oltre ai tanti ricordi, mi porterò via anche quella targhetta, col mio nome inciso e placcato in oro. Un giorno potrebbe servirmi a convincere i miscredenti. «Ero ministro della Repubblica».

 

 

 

Fare il Ministro degli Esteri è stato un onore. Servire il Paese in un momento come questo, poi. E chi se lo sarebbe mai immaginato giù a casa, in quel di Pomigliano d’Arco. Il destino mi ha sorriso, ne sono convinto. Ora volgerò lo sguardo al futuro. «Quell’amore chiamato politica» resterà pezzo di bibliografia. Non escludo il ritorno, lo recita invece l’epigrafe, di un monumentale Franco Califano. Non si sa mai. Un giorno potrei anche ritornare. Per ora ho un sogno in più, da riporre in quel cassetto. 

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