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Battaglia sul reddito, Giuseppe Conte strumentalizza anche la povertà

Nuccio Bovalino
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Il Sud è stanco di essere considerato il regno del reddito di cittadinanza. Giorgia Meloni ne è convinta: bisogna immaginare nuove forme di sviluppo per il meridione che vadano oltre l’assistenzialismo. Per la leader di FdI è necessario continuare a sostenere chi non può lavorare, i disabili e gli anziani, destinando loro un contributo anche più sostanzioso di quello attuale. Chi può lavorare deve però essere messo nelle condizioni di farlo: vi è un diritto dell’uomo a guadagnarsi da vivere con la certezza di essere utile alla società, per sentirsi vivo. È paradossale che un movimento di sinistra abbia legato il proprio brand al reddito di cittadinanza, un meccanismo che favorisce l’alienazione degli individui, resi passivi, inoperosi e privati di ogni legame con la creazione di valore.

Le piazze piene di Bari, Matera e Caserta sono il chiaro segnale che una parte del popolo meridionale desidera sposare il progetto produttivista della Meloni. La piazza del capoluogo pugliese è parsa anche una risposta ai recenti attacchi del presidente regionale Michele Emiliano alla destra. Per Marcello Gemmato, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia in Puglia, «quella piazza chiede che la politica riesca a immaginare e strutturare un modello alternativo per il Sud intero, capace di valorizzare il talento e il genio, coinvolgendo concretamente ogni uomo e ogni donna nella costruzione attiva di una nuova Italia».

Conte crede invece di poter costruire un sistema economico sui bonus, fingendo di non capire l’inconsistenza di una relazione politica-cittadini edificata su parole acchiappa-consensi come «gratuitamente» (vocabolo ripetuto dall’ex premier, come un mantra ipnotico, in ogni piazza che lo ha ospitato). È la teoria dell’assetato nel deserto a cui porgiamo dell’acqua solo per comprarne la benevolenza. Ma è il momento di attraversare il deserto, raggiungere la montagna e picconare noi stessi la roccia da cui far sgorgare l’acqua per dissetarci.

L’«Avvocato del popolo» si è trasformato nell’«Avvocato dei poveri»: è la nuova onorificenza populista assegnata a Giuseppe Conte. Il Movimento, nato per far nascere una post-democrazia digitale dal basso, ha mutato ormai pelle. Il realismo acquisito dopo aver governato, ha spinto il movimento ad abbandonare il pretenzioso progetto degli albori, quello del duo pop-visionario formato da Gian Roberto Casaleggio e Beppe Grillo, accontentandosi oggi di indossare gli abiti di un banalissimo ma sempreverde Robin Hood. Il programma politico? «Rubare» ai ricchi per dare ai poveri. Una visione classista e anti-politica che garantisce indubbiamente un buon consenso. Conte, potrà presto trasformare quel ridicolo «Abbiamo abolito la povertà!» in un più realistico «Abbiamo strumentalizzato la povertà!». Il dramma insito nella declinazione ideologica del reddito di cittadinanza, non come reale e legittima urgenza, ma come dimensione strutturale, è che esso risulta funzionale al processo di de-umanizzazione del mondo lavorativo. L’automazione industriale è solo l’alba di un futuro distopico nel quale l’intelligenza artificiale modificherà le dinamiche sociali ma soprattutto il mondo del lavoro, favorendo la «rottamazione» dei lavoratori umani in nome del risparmio e dell’efficienza. Lo scontro non è semplicemente quello fra i progressisti e la Meloni, ma fra chi, come i primi, spinge verso un modello di società che porterà a una marginalità sempre maggiore l’essere umano e chi prova invece a difenderne la centralità e la dignità anche nell’era digitale che viviamo.
 

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