Terzo Polo, la scommessa di Calenda e Renzi arriva in ritardo
Con un accordo in extremis, siglato in stato di necessità da parte di entrambi, è nato l'autoproclamato terzo polo Calenda-Renzi «per salvare l'Italia dai sovranisti e dai populisti. A testa alta, a viso aperto». Anche se sui social scorrono già, impietosamente, i precedenti anatemi di Calenda contro il Rottamatore, alla stregua di quelli lanciati da Zingaretti ai Cinque Stelle subito prima che nascesse il governo rossogiallo. Ma nella politica liquida di questi tempi giravolte e contraddizioni sono all'ordine del giorno e non stupiscono più nessuno.
Dall'unione di due debolezze, però, di solito non nasce mai un progetto stabile, specie se i contraenti sono due primattori abituati a stare sulla scena senza comprimari. L'idea di sconfiggere il bipopulismo all'ombra dell'Agenda Draghi è molto ambiziosa, ma sembra la riproposizione di un tentativo che in passato non ha mai dato i frutti sperati. Potrà probabilmente servire a salvare la pelle, con un pugno di seggi, alle rispettive nomenklature, ma lo spazio per una forza di centro in grado di condizionare gli assetti della prossima legislatura realisticamente non c'è.
Non basta infatti proclamarsi centristi: il precedente di Monti dimostra, ad esempio, la sproporzione tra le ambizioni nutrite e la reale capacità di realizzarle, e il suo partito, dopo una deludente prova elettorale, si dissolse in Parlamento dopo pochi mesi. Allora fu Casini, in rotta da tempo con Berlusconi, a prefigurare una sorta di partito della nazione mettendo insieme nello stesso contenitore l'ex capo della destra, Fini, e un ex radicale come Rutelli, con l'unico intento di demolire «la mitologia del bipolarismo».
Ma anche quella fu solo un'intesa fra oligarchi destinata a impaludarsi in un tatticismo privo di consenso popolare, e l'unico superstite alla fine è stato proprio Casini, che lasciato l'Udc al proprio destino ha trovato comodo riparo nelle liste del Pd. E anche la diaspora di Alfano, con la breve esperienza dell'Ncd, si rivelò una mera operazione di potere finita nel nulla.
Ora l'ennesima navicella centrista salpa con al timone un ex premier e un ex ministro del Pd, e lo fa non sulla base di un approfondito confronto su programmi e strategie, ma nel modo più precario possibile, ossia attraverso una fusione a freddo che ha finito per disorientare gran parte del potenziale bacino elettorale. Se l'obiettivo era quello di attrarre i moderati delusi dal centrodestra, insomma, difficilmente potrà essere centrato perché il terzo polo di Calenda e Renzi altro non è - copyright Anna Maria Bernini - che «una costola della sinistra» pronta a rientrare nei ranghi al primo richiamo della foresta. Calenda ha perso l'appeal decisionista di leader che non deve chiedere mai a causa dei suoi mille ondeggiamenti, mentre Renzi è stato il protagonista indiscusso di questa legislatura di trasformisti, ma non è mai riuscito a scuotere l'albero dei consensi oltre la soglia del 3 per cento. E sullo sfondo resta l'incognita prepolitica di due brutti caratteri che paiono destinati a litigare alla prima occasione come le allegre comari di Windsor. Il bipolarismo italiano è da anni malridotto, picconato dall'irruzione del populismo grillino, e il fallimento del patto Letta-Conte ha riproposto lo schema tripolare degli ultimi dieci anni. Per cui il neonato terzo polo rischia in realtà di diventare il quarto, e quindi di essere condannato all'irrilevanza alla prova delle urne. A dimostrazione che una cosa sono le posizioni politiche di «centro» e un'altra è il «partito di centro».
Posizioni politiche centriste possono infatti essere forti e determinanti pur in assenza di un partito di centro. È lo schema che funziona meglio quando, nelle grandi democrazie occidentali, si fronteggiano due schieramenti contrapposti che convergono al centro e si legittimano reciprocamente. Il programma del centrodestra sembra andare in questa direzione, mentre il Pd ha scelto ancora una volta di posizionarsi nella vecchia ridotta della gauche. Ma nonostante questo il neocentrino battezzato ieri rischia di risolversi in una scommessa fuori tempo massimo.