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Pd, la parabola sinistra che critica e poi sposa il populismo

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Benedetta Frucci
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Si è stati anni a parlare del populismo grillino e di quello leghista. Di saggi contro beceri. Si è speso fiumi di inchiostro nello stigmatizzare proposte vuote e slogan dei partiti populisti. Parte della stampa ha descritto il Pd come unico argine alla deriva del sistema politico e, alla fine, eravamo quasi convinti che fosse vero.

Eppure, guardando alla segreteria Letta il quadro che ci viene restituito è implacabile ed evidenzia non solo una deriva populista - ovvio, a sinistra - dei dem, ma anche una sgangherata strategia politica che rischia di lasciare Enrico Letta al palo. Il segretario ha infatti dapprima difeso con le unghie e con i denti il governo Conte, attaccando ferocemente Matteo Renzi per la scelta di farlo cadere.

Poi, come se niente fosse, è diventato più draghiano di Draghi, teorizzando al contempo il «campo largo». Un'alleanza che sarebbe dovuta andare da Renzi e Calenda fino a Giuseppe Conte. Caduta l'illusione della romanizzazione dei barbari, ha abbracciato ciò che Matteo Renzi aveva postulato e realizzato: un Pd non alleato dei grillini. Poi si è contraddetto con i fatti: ha corteggiato Fratoianni minacciando Renzi, che gli ha dato velocemente il benservito. Benservito che, ragionevolmente, gli darà anche Carlo Calenda. Il risultato? Se si formerà un terzo polo, si avrà un Pd schiacciato a sinistra e un segretario che ragionevolmente dovrà fare le valigie per il pessimo risultato ottenuto. Un risultato in confronto al quale la performance quirinalizia di Matteo Salvini appare brillante. Ma passiamo ai contenuti di questa campagna elettorale targata Enrico Letta. L'unico messaggio che per giorni ha fatto filtrare il Pd è il sempiterno, noioso e ormai ridicolo «pericolo fascista».

Un pericolo che giustificherebbe, secondo queste menti finissime, un'accozzaglia che andrebbe da Mara Carfagna a Fratoianni. Poi, la svolta: finalmente ci siamo detti, Letta parla di contenuti. E cosa propone? L'ennesima patrimoniale, questa volta declinata in un aumento della tassa di successione in favore dei giovani. Una «dote» l'ha chiamata. Una proposta populista, che strizza l'occhio all'odio verso la classe media, condita da un sessantottino scontro generazionale. Niente di diverso in fondo, dalle proposte demagogiche che la sinistra tanto critica ai sovranisti o dal reddito di cittadinanza. Per la sinistra italiana insomma, come ha detto Renzi, non si può neppure morire gratis. E allora contrordine compagni: via l'agenda Draghi, avanti con la lotta di classe. 

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