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Mps tutti assolti, a Siena i pm si dimenticano gli atti

Davide Vecchi
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Dieci anni di processi e aule giudiziarie finiti in nulla: ieri, per la seconda volta, gli ex vertici di Monte dei Paschi di Siena sono stati assolti dalla corte d'appello di Firenze con formula piena anche dall'accusa di aver ostacolato la vigilanza di Banca d'Italia. Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri, rispettivamente ex presidente, ex direttore generale ed ex capo dell'area finanza erano accusati di aver nascosto il Mandate agreement, un contratto stipulato con la banca giapponese Nomura per ristrutturare i derivati Santorini e Alexandria. I tre erano già stati assolti in appello e la Cassazione aveva disposto un secondo processo d'appello per stabilire se «il fatto non sussiste» o se «il fatto non costituisce reato».

Ieri è stato stabilito che non sussiste. In pratica: assoluzione con formula piena. Medesimo esito già incassato lo scorso maggio dalla corte d'appello di Milano in merito a un altro processo relativo all'acquisto di Antonveneta in cui a Mussari & Co erano contestati vari reati: manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all'autorità di vigilanza. Pure lì, assolti. Tutti. Dopo dieci anni. In entrambi i casi le indagini, l'impianto accusatorio e le ipotesi sono state ipotizzate, realizzate e compiute dai magistrati della Procura di Siena, in particolare da Aldo Natalini e Antonio Nastasi. Sì, gli stessi incontrati nel caso David Rossi, il manager di Mps morto il 6 marzo 2013 e subito archiviato come suicidio ma su cui ora, a distanza di quasi dieci anni, la commissione parlamentare d'inchiesta ha scoperto che le indagini sono state a dir poco superficiali. Basti dire che in audizione a San Macuto Natalini ha detto di non poter rispondere a una domanda sulla distruzione dei reperti perché altri menti rischiava di poter essere indagato e Nastasi ha negato di essere andato nel vicolo dove era stato trovato il cadavere di Rossi ed è stato sbugiardato dal parlamentare componente della commissione, Luca Migliorino. In estrema sintesi dai lavori della commissione emerge che le indagini sono state condotte male, molti atti sono stati omessi. Ad esempio, oltre ai reperti distrutti senza mai essere analizzati, si è scoperto che i magistrati avevano ricevuto due video realizzati quella sera dalla Polizia scientifica ma hanno deciso di non allegarli agli atti, quindi privando familiari e legali di elementi potenzialmente fondamentali. Perché questa scelta? Non si sa.

Nastasi, in particolare, ha fatto la medesima scelta anche nel procedimento che ieri si è concluso con la seconda assoluzione in corte di appello. Lo ha scoperto e sottolineato l'avvocato Tullio Padovani nel ricorso, individuando un elemento fondamentale per l'assoluzione. Nastasi, scrive Padovani, ha scelto di «non depositare durante il giudizio di primo grado quanto acquisito dalla Consob», documenti che dimostrano come tutti fossero a conoscenza del mandate agreement, e così «non ha consentito al giudice di prima di apprendere che» tutti i contratti «erano stati trasmessi a Banca d'Italia durante l'ispezione e che Consob e Pwc (società di revisione Price Waterhouse) avevano ritenuto equipollente i Deed al mandate».

Tutti assolti. Perché il fatto non sussiste. Dopo dieci anni. Dopo gogne mediatiche, vite sospese, persino mesi di carcere per Baldassarri. Eppure sarebbe bastato leggere con attenzione e ricordarsi gli atti. Magari oggi Mps sarebbe ancora una banca sana. E non a carico del Paese. 

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