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L'unica strada per alzare gli stipendi è rilanciare la produttività. Le contraddizioni del M5S sul salario minimo

Riccardo Mazzoni
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Il salario minimo è uno dei totem ideologici che i Cinque Stelle hanno piantato davanti a Palazzo Chigi per indebolire Draghi con un'escalation di pretese identitarie apparentemente irrinunciabili. Dopo il cahier de doleances messo per iscritto da Conte, sono scesi in campo tutti i colonnelli usando toni sempre più ultimativi: non serve un segnale minimo, ma il salario minimo di nove euro, senza subordinate. Vedremo se e in quale misura alla fine il premier sarà disposto a cedere, ben sapendo che così aprirebbe il vaso di Pandora delle rivendicazioni, col rischio di far implodere una maggioranza già sull'orlo della crisi. Nessuno mette in dubbio che siano necessarie misure straordinarie per tutelare il potere d'acquisto di lavoratori e pensionati schiacciato da aumenti di prezzo ormai incontrollati non solo dell'energia, ma anche dei generi alimentari. E che le misure messe in campo dal governo - per 33 miliardi di euro -vanno nella giusta direzione ma devono essere implementate con un taglio strutturale del cuneo fiscale e delle accise sui carburanti, oltre che allargando la platea dei beneficiari dei bonus bollette. Ma il problema del lavoro povero non si risolve imponendo il salario minimo per legge.

 

 

Intanto non è vero che ce lo chiede l'Europa, perché le indicazioni comunitarie non sono dirette ai Paesi come il nostro in cui il sistema contrattuale copre oltre il 90% dei comparti lavorativi: una disposizione legislativa finirebbe solo per danneggiare la contrattazione collettiva e indebolirebbe le relazioni industriali, spingendo peraltro una parte delle piccole imprese a recedere dai contratti nazionali e ad applicare un salario minimo più basso di quello fissato dagli accordi. Sarebbe il colmo. Sulla necessità di una rete di protezione sociale per fronteggiare le emergenze in atto non esiste una divisione tra guelfi e ghibellini, perché è comune la consapevolezza di dare risposte concrete ai lavoratori di fronte all'aumento incontrollato dei prezzi. Ma la strada maestra per difendere il potere d'acquisto è il taglio strutturale del cuneo fiscale sulle buste paga senza danneggiare le imprese. Per aumentare i salari occorre prima di tutto agire sulla leva della crescita e della produttività. Non a caso, i Paesi che hanno visto migliorare la condizione dei lavoratori sono quelli che negli ultimi trent' anni sono riusciti a incrementare la produttività, mentre attuare il modello del salario minimo significherebbe entrare a gamba tesa sulla libertà contrattuale. Il problema dunque è la diminuzione del costo del lavoro per le aziende assicurando una busta paga più pesante per i lavoratori: è qui che bisogna intervenire, perché siamo il Paese che registra il maggior divario in Europa tra il costo per il datore di lavoro e la retribuzione netta del dipendente, e se un taglio generalizzato viene ritenuto troppo oneroso, questo potrebbe essere applicato almeno per i giovani e per i salari più bassi. Il governo perse una grande occasione l'anno scorso, quando invece di concentrare otto miliardi sul cuneo fiscale preferì operare un impercettibile abbassamento dell'Irpef che non ha dato sollievo a nessuno.

 

 

L'incontro di ieri tra governo e sindacati è stato derubricato a quasi inutile da Landini, che da nostalgico dichiarato del secondo governo Conte sta giocando politicamente di sponda con i grillini, e non è un bel segnale, anche se ha aperto alla proposta del ministro Orlando di prendere a riferimento i trattamenti economici complessivi dei contratti maggiormente rappresentativi di ciascun settore e fissarli come trattamenti minimi sotto cui non si deve andare. Conte coglierà questo spiraglio o resterà arroccato sui diktat ideologici dettati dall'ala barricadera del Movimento? Lo sapremo ad horas, ma comunque finirà questo poco edificante capitolo, il governo sembra destinato a una navigazione precaria, e scrivere la prossima legge di bilancio in queste condizioni sarà arduo anche per Draghi, che da uomo della Provvidenza rischia di trasformarsi in un'anatra zoppa. Non converrebbe né a lui né, soprattutto, al Paese.

 

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