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Povero Giuseppe Conte, capo indeciso su tutto il fronte. Tregua armata con Mario Draghi

Riccardo Mazzoni
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Definire quella tra Draghi e Conte una tregua armata, visto che c'è purtroppo una guerra vera in corso, potrebbe sembrare improprio, ma non c'è immagine più efficace per descrivere il derby politico e personale che stanno disputando premier ed ex premier sulla pelle della stabilità di governo. La laconica risposta data ieri ai giornalisti dall'avvocato del popolo ("Fiducia in Draghi? Ne parliamo lunedì...") fa capire che la sete di rivalsa alimentata dai teorici del conticidio è ancora più forte della lealtà alla coalizione, nonostante le rassicurazioni di maniera fornite al Quirinale. La netta sensazione insomma è che il faccia a faccia di lunedì non sarà affatto risolutivo, anche perché incombono due scadenze potenzialmente esplosive come il quarto decreto interministeriale sull'invio di armi più a lunga gittata all'Ucraina, che non passerà da un voto dell'aula come invece chiedeva Conte, e il decreto Aiuti su cui la delegazione grillina si è messa di traverso in consiglio dei ministri, Nodo della discordia: i poteri straordinari al sindaco di Roma per la costruzione del termovalorizzatore. Si tratta di una questione identitaria del Movimento su cui per Draghi sarà estremamente difficile trovare un punto di caduta, e c'è dunque il rischio che la guerriglia a intermittenza praticata da Conte possa presto trasformarsi in qualcosa di più grave.

 

 

Un'avvisaglia si è avuta in settimana nelle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, dove la maggioranza si è spaccata bocciando l'emendamento grillino che puntava proprio a bloccare la costruzione del termovalorizzatore romano, e per il momento la posizione pare irremovibile: se la norma non cambierà, il M5S non voterà il decreto neanche in aula. Il condizionale è d'obbligo, visto che Conte è un leader indeciso a tutto, tirato per la giacca dai fautori del tanto peggio tanto meglio ma frenato, oltre che dalla sua tartufesca propensione per i tentennamenti, dai diktat dell'Elevato che di uscire dal governo non ne vuol proprio sapere. Ma sarà davvero dura per i Cinque stelle, assertori da sempre della gestione luddista dei rifiuti - no discariche, no termovalorizzatori - cedere anche su questo punto cruciale, nonostante la disastrosa eredità ambientale lasciata dalla giunta Raggi. Sarebbe però ancora più difficile per Draghi depennare il termovalorizzatore dal decreto Aiuti, rinnegando il patto appena siglato per rigenerare la Capitale. In Europa la termocombustione è uno dei sistemi usati con più frequenza nei Paesi che dispongono di una gestione dei rifiuti avanzata: termocombustione e riciclo sono due facce della stessa medaglia, con l'uso delle discariche ridotto ai minimi termini.

 

 

Dunque, indietro non si può tornare, mentre si profila una nuova grana per Conte. Nel decreto Aiuti potrebbe infatti essere inserita anche la riattivazione delle trivelle: il ministero della Transizione ecologica ha già deciso di aggiornare il piano per incrementare la produzione di gas italiano, e lo scenario di una chiusura totale dei rubinetti russi richiede soluzioni tempestive, tra le quali anche il ripristino delle trivellazioni nel Mare Adriatico. Tutti bocconi amari per il visconte dimezzato delle decisioni revocabili, che ora si trova davanti a un bivio micidiale: se alza bandiera bianca scontenta i falchi che gli stanno intorno, se invece rompe con Draghi apre la strada alle elezioni anticipate, puro veleno per le residue truppe grilline in Parlamento.

 

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