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Il Centro è un'illusione ottica che ha prodotto solo operazioni di Palazzo

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Riccardo Mazzoni
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Trent'anni dopo la fine della Prima Repubblica, e mentre la seconda sta per terminare dopo aver fallito la prova del bipolarismo guerreggiato, il panorama di macerie lasciato dal rimescolamento di carte populista che ha scompaginato il sistema politico ha fatto risorgere l'illusione centrista, intesa come il metronomo capace di scandire il tempo a destra e a sinistra. Non a caso al centro dei giochi ci sono molti reduci della Democrazia Cristiana, ma la nostalgia è una categoria della politica che ha sempre riservato delusioni, e una cosa dovrebbe essere chiara: l'esperienza della Dc non è ripetibile, anche se molto resterebbe invece della sua eredità nel rapporto tra la società italiana e la politica, nel senso di quell'equilibrio di sistema che la Dc assicurava e che manca invece, per motivi diversi, ai partiti attuali. Solo che, essendo cambiate profondamente le dinamiche sociali a causa di un inizio secolo dominato da ripetute crisi globali, si è ridimensionato il ruolo cerniera del ceto medio, tradizionale referente sociale del centro moderato, e il rapporto tra domanda e offerta politica si è incrinato a tal punto da far precipitare la partecipazione elettorale e da alimentare fenomeni come il grillismo. La parabola di Forza Italia, che ha saputo per un quarto di secolo, grazie a Berlusconi, riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa pervia giudiziaria del pentapartito, insegna che solo un leader carismatico potrebbe tentare l'impresa centrista. Per questo è in atto la corsa a intestarsi il draghismo senza Draghi, nella speranza di reinventare all'ombra del premier uno spazio politico prosciugato dal bipolarismo.

 

 

Ma anche qui dovrebbe venire in soccorso l'esperienza: il centro è un'illusione ottica che negli ultimi venti anni ha prodotto solo operazioni di Palazzo di cortissimo respiro. Basti pensare all'esperimento nato intorno alla figura del professor Monti, la cui Scelta civica si dissolse in Parlamento dopo una mediocre prova elettorale. Draghi si tiene ben lontano da una simile tentazione, e infatti si parla del cosiddetto partito di Draghi senza Draghi, una formula che si scontra però con la distanza siderale che corre tra una figura come quella di Draghi e i nani politici che la vorrebbero utilizzare come esca elettorale. Anche perché non c'è un automatismo tra il «centro» come luogo geografico della politica e la buona politica: il centrismo di De Gasperi, certo, fu di segno liberale e pose le basi per incanalare l'Italia verso la rinascita e lo sviluppo, ma altre formule centriste hanno prodotto clientelismo e debito pubblico. Il «centro» dunque di per sé non è un valore assoluto, ma l'area a cui le coalizioni avversarie dovrebbero tendere per assicurare la governabilità del Paese.

 

 

L'ambizione di costruire un argine politico a populismi e sovranismi è ovviamente legittima, ma anche troppo ambiziosa, perché ci sono troppi galli nel pollaio e perché il bacino di voti da cui pescare è solo potenziale se nessuno è in grado di intercettarlo. Calenda è determinato a fare la corsa solitaria, Italia Viva resta un fantasma elettorale, Beppe Sala è un enigma indecifrabile, Toti e Brugnaro sono già separati in casa, mentre è improbabile che i centristi di Forza Italia e Lega si gettino in un'avventura a così alto tasso di rischiosità. Con l'arrivo di Insieme per il futuro di Di Maio, alla Camera attualmente compaiono sette gruppi centristi, ma tre sono vicini al centrodestra e quattro al centrosinistra, e il grande contenitore annunciato da Di Maio per l'autunno è tutto da costruire. Se poi i registi dell'operazione fossero Mastella e Tabacci, il futuro del centro sarebbe così vintage da consolidare questo bipolarismo ammaccato.

 

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