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L'astensione mostra la sfiducia degli elettori italiani nella politica

Andrea Pasini
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Gli italiani non hanno più fiducia nella politica. Lo dimostrano i dati che raccontano di un astensionismo in continua crescita. Se 20 anni fa la partecipazione alla scelta dei sindaci nelle grandi città superava il 70%, oggi si rasenta il 50%. Durante le ultime amministrative, al primo turno, hanno votato meno della metà dei romani (48,54%), dei milanesi (47,72%), dei napoletani (47,17%) e dei torinesi (48,08%). La quota è scesa ulteriormente nei comuni andati al ballottaggio, attestandosi al 42% degli aventi diritto a Torino e addirittura al 40,7% a Roma. Un dato storico importante che senza dubbio merita una riflessione. È evidente a tutti ormai quanto la politica più che il consenso debba in questo momento storico inseguire il buon senso. Domenica siamo chiamati al voto amministrativo e referendario. Stiamo vivendo una pagina drammatica della nostra storia, e non possiamo permetterci che la tensione sociale continui a crescere, in Italia come nel resto dell'Europa.

 

 

Anche in Francia, la rielezione di Macron è avvenuta con il 28,01% di astenuti. Un dato forte per il Paese, che sorprende specialmente oggi che l'Europa ha bisogno di essere unita davanti al conflitto tra Russia e Ucraina. La nostra politica soffre di un estremo attaccamento alla propaganda, fatto di sondaggi sulla popolarità di certi personaggi, che promettono grandi rivoluzioni senza mai portare a termine i loro progetti. I social hanno sicuramente aggravato questa tendenza, rendendo la nostra classe politica ancor più disancorata da ciò che realmente pensa e muove l'attuale pubblica opinione. La sfiducia nei confronti dei politici è sotto gli occhi di tutti. Prima un'emergenza sanitaria che ha contribuito a far sprofondare la credibilità e l'autorevolezza della politica e delle istituzioni da un lato e che ha ridotto gli spazi per una vera partecipazione e correzione di rotta dall'altro. E ora la guerra in Ucraina. È arrivato il tempo di costruire una stagione politica che sia in grado di garantire il buon governo attraverso una riconosciuta competenza e autorevolezza, oppure si corre il serio rischio di precipitare in un vicolo cieco dove nessuno sa come se ne possa poi uscire.

 

 

Siamo tutti ormai stanchi dell'improvvisazione, dell'inesperienza, della cesura rispetto a tutto ciò che è riconducibile al passato, la ridicolizzazione delle tradizionali culture politiche e, soprattutto, la delegittimazione totale dell'esperienza e del magistero politico e istituzionale della classe dirigente di chili ha preceduti. Figure professionali inesperte vanno a ricoprire i ruoli più importanti nel nostro Paese, mancando completamente di professionalità ed esperienza. Ma al di là di questo deficit di competenza, che badate bene non è affatto un elemento secondario, è la sfiducia a preoccupare maggiormente. È per questo che bisogna invertire la rotta il prima possibile, dando la possibilità di emergere a una classe dirigente che sappia coniugare al più presto la competenza specifica con la capacità politica; la cultura politica con il rigore morale; la professionalità politica con il rispetto degli avversari. In sintesi, una rivoluzione quasi copernicana rispetto alle dinamiche della politica contemporanea. Mi auspico che partendo da queste basi, l'area cattolico democratica assuma un ruolo da protagonista nella storia di questo Paese, come d'altronde lo è stata negli anni del dopoguerra. Oggi più che mai siamo alla ricerca di valori, progetti, competenza e cultura politica. Solo questa ricetta può salvare la nostra democrazia. Prima che sia troppo tardi.

 

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