Dalla formazione all'industria: così riparte il nuovo nucleare in Italia
Lo scenario energetico mondiale si sta sempre più orientando verso l’elettrificazione degli usi finali, accrescendo il fabbisogno produttivo di energia elettrica sul pianeta; se a ciò aggiungiamo l’enorme sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale che utilizzano grandi data center, tendenzialmente energivori, tale fabbisogno non potrà che crescere vertiginosamente. Le ultime previsioni parlano infatti di un aumento significativo del fabbisogno elettrico, sia a livello europeo (tra due e tre volte rispetto al 2023) sia a livello italiano (quasi due volte rispetto al 2023). Come far fronte, dunque, a queste necessità nel rispetto degli stringenti obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2050 secondo gli accordi internazionali siglati in sede Onu? Una soluzione razionale e stabile potrebbe essere quella di ricorrere al nuovo nucleare che si caratterizza come la tecnologia di generazione elettrica a minore intensità carbonica e può, per le sue caratteristiche intrinseche, garantire una fornitura stabile e modulabile nell’arco della giornata e dell’anno, agendo da “stabilizzatore sistemico” in complementarità con lo sviluppo delle rinnovabili intermittenti e abilitando così una produzione elettrica integrata e de-carbonizzata.
Questa concreta prospettiva è emersa, a fine novembre, nel corso della VI edizione di iWeek “Dalla formazione all’industria, la ripartenza del nucleare in Italia” tenutasi a Roma nella sede di Banca Finnat a Palazzo Altieri con i rappresentanti di gran parte delle maggiori realtà del settore energetico e del comparto nucleare italiano. In occasione dell’ormai tradizionale appuntamento organizzato annualmente da iWeek – la joint venture tra V&A – Vento & Associati e Dune Tech Companies, nel corso dei vari interventi che si sono succeduti durante i panel della giornata, hanno lasciato il segno le parole di Lorenzo Mottura, Strategy, Corporate Development & Innovation EVP di Edison, secondo cui: “Nel contesto italiano vi sono due elementi fondamentali da considerare: la competitività dell’industria e la crescita della domanda elettrica, prevista in raddoppio di qui al 2050. Per tenere insieme questi elementi con gli obblighi di de-carbonizzazione, l’impiego delle sole energie rinnovabili non è considerato sostenibile in termini di costi finali, poiché questi sarebbero troppo elevati. Lavorando, invece, su uno scenario ottimizzato di transizione ecologica, siamo giunti alla conclusione che insieme alle rinnovabili, per loro natura discontinue, si potrà fare ricorso al nucleare che è invece programmabile. In tal modo, attraverso un mix energetico basato per l’80% sulle rinnovabili e per il 20% sul nucleare si potrebbero risparmiare, secondo recenti stime, circa quattrocento miliardi di euro in investimenti sistemici tra il 2035 ed il 2050.
Tutto ciò, secondo una simulazione realizzata da Edison, sarà fattibile se si inizieranno a costruire i primi reattori nucleari di piccola taglia, SMR o AMR, entro i primi cinque anni del 2030”. Uno dei fattori chiave che potrà consentire l’inserimento della componente nucleare nel mix energetico del nostro Paese è rappresentato dal potenziamento della filiera industriale italiana nel settore nucleare che, per fortuna, è in parte già esistente. L’Italia, al momento, può infatti vantare competenze lungo quasi tutta la supply chain, ad esclusione del settore di fornitura e arricchimento dell’uranio e di fabbricazione del combustibile.
A tal riguardo è stato molto significativo, durante la tavola rotonda dedicata ad “Energia sostenibile e crescita”, l’intervento del Presidente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi il quale ci rammenta che “La supply chain italiana del nucleare, pur essendo piccola, è capace di competere a livello internazionale e raggiungere un buon posizionamento di mercato grazie alla propria qualità. Ne siano esempi tangibili il fatto che, dei quattro impianti nucleari, realizzati in Europa negli ultimi venti anni, due mostrano una significativa impronta italiana; ma anche nell’ambito del prestigioso progetto ITER, la supply chain italiana è ampiamente presente, tanto da costituire il secondo contributor. Questa filiera è oggi rappresentata da almeno settanta industrie in Italia, potendo contare su un patrimonio di risorse umane nell’ordine dei 5.000 specialisti. Tutto ciò è apprezzabile ma non sarà sufficiente per posizionarsi nel mercato energetico del futuro dove il modello di business dominante sarà, con ogni probabilità, quello degli Small modular reactors, i c.d. mini-reattori; ciò implicherà la necessaria capacità industriale per realizzare impianti standardizzati ed in serie, nell’ambito di una competizione aperta su scala prima europea e poi globale”. Secondo il Rapporto strategico redatto nel 2024 da TEHA Group, con il contributo di Edison ed Ansaldo Nucleare, infatti, l’analisi delle già menzionate settanta aziende italiane specializzate nel settore dell’energia nucleare ha evidenziato la loro presenza attiva in ben 9 diversi macrosettori della filiera.
La mappatura delle aziende italiana riflette, dunque, la forte specializzazione della nostra industria nei diversi segmenti della supply chain di un progetto nucleare, dalle attività di General Contractor e delle società di ingegneria, fino alla produzione di grandi componenti, valvole e tubazioni. Per quanto riguarda invece il valore economico complessivamente generato dalle aziende italiane specializzate nella filiera nucleare, esso ha raggiunto, nel 2022, la ragguardevole cifra di 4,1 miliardi di euro, con 1,3 miliardi di valore aggiunto prodotto e circa 13.500 dipendenti, a testimonianza del notevole dinamismo che si sta registrando in questo settore.