Tregua a Gaza, ecco perché questa può essere la volta buona
«Siamo molto vicini a farcela. Devono farlo. Se non lo fanno, ci saranno un sacco di guai là fuori - un sacco di guai come non hanno mai visto prima. Ce la faranno» così Donald Trump dalla Florida sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente, che potrebbero portare a un primo, parziale, sospettoso, urticante ma in qualche modo utile accordo di tregua tra Israele ed Hamas, con annessa liberazione di un certo numero di ostaggi mostruosamente rapiti il 7 ottobre 2023. Perché ascoltare Trump? Semplice, perché le sue sono le uniche parole che contano sul fronte americano, proprio nella giornata in cui sia Joe Biden che il Segretario di Stato Antony Blinken invadono media e social con un montagna di dichiarazioni, scelta pessima nel momento peggiore, figlia di un’ansia di protagonismo dell’amministrazione uscente che non fa onore ad un professionista come Biden (ma incapace di vedersi fuori dalla Casa Bianca) e che invece spiega perfettamente i limiti di Blinken, bravo come consigliere ma non adeguato al ruolo di Ministro degli Esteri della nazione più importante del mondo. Perché si arriva (se ci si arriva) a questo accordo? L’unico che ce lo fa capire davvero è Trump: perché Hamas teme il peggio per quel che resta della sua organizzazione, con il ritrovarsi al vertice di Netanyhau e dello stesso Trump. Tutto il resto sono totali sciocchezze, figlie di analisi che credono alle favole e alle illusioni verbali che tanto piacciono qui in Europa.
Gaza, ore decisive per l'accordo tra Israele e Hamas: "Molto presto". Gli scenari
Hamas odia Israele e disprezza gli ostaggi, cui desidera riservare tutto il peggio (e lo ha fatto, sappiamo cose indicibili su quanto accaduto in questi mesi di prigionia), ma sa anche che proprio quegli ostaggi sono un argine ad un’ulteriore offensiva militare israeliana, che il governo ha tenuto afreno per due motivi (non uno di più): una rilevante complessità operativa (costerebbe molte dozzine di morti all’IDF) e la consapevolezza che qualcosa deve essere fatto per riportarne a casa almeno un certo numero.
Tregua e ostaggi, Netanyahu detta le condizioni: "Rapiti tutti liberi"
La trattativa sugli ostaggi è spietata, perché Hamas pensa solo al proprio futuro (può ancora salvare almeno il 30% dell’organizzazione) ese le fosse utile ucciderebbe tutti gli ostaggi ancora vivi facendoli soffrire sino all’ultimo attimo di vita (evito riferimenti, ma esistono e sono precisissimi, sulle tecniche già adottate in passato); Israele non crede più a nulla di quanto viene promesso dalla controparte, il 7 ottobre brucia nei cuori e nelle menti. Però c’è la politica, anche nella versione del Medio Oriente. E come abbiamo visto in Siria (e in Libano), è un momento nel quale c’è aria di svolta, anche perché tutti si attendono un radicale cambiamento nell’atteggiamento americano. Conta solo Trump in questa fase, come mai accaduto per un Presidente “entrante”. Per chi vuole capire davvero, ecco le parole al Congresso del futuro Ministro della Difesa americano, Pete Hegseth: «Supporto con forza che Israele distrugga e uccida fino all’ultimo membro di Hamas». Altro che Blinken e le sue buone maniere, altro che “Soft Power”.