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Mar Rosso, la crisi costa cara. Gravi ripercussioni anche per l'Italia

Benedetto Antonelli
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Gli attacchi nel Mar Rosso da parte dei ribelli Houthi dello Yemen, ai quali Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno risposto con bombardamenti sulle postazioni militari yemenite, hanno concrete ripercussioni sul commercio mondiale ed europeo in particolare. Le conseguenze sono potenzialmente enormi. Diverse compagnie mercantili hanno già optato per la circumnavigazione dell’Africa pur di evitare aggressioni ma con gravi ripercussioni sui tempi di navigazione e sui costi delle spedizioni, in termini di carburante e coperture assicurative. Un bel danno se si considera che il 40% dell’import-export italiano, di cui il 10% del petrolio e del gas liquido, passa dal Canale di Suez, per un ammontare di merci pari a 154 miliardi di euro, secondo l’ultimo report di Srm, il Centro studi di Intesa San Paolo che analizza il settore logistico-portuale con una visione euro-mediterranea. Secondo le stime di Coldiretti è a rischio circa mezzo miliardo di esportazioni di frutta e verdura Made in Italy dirette in Medio Oriente, India e sud est asiatico. «Per portare l’ortofrutta nazionale in India - spiega l’associazione - attraverso lo stretto di Suez il tempo impiegato era di circa 28 giorni, ora, dovendo circumnavigare il continente africano si arriva a più di 40 con l’allungamento dei tempi che potrebbe creare problemi di conservazione del prodotto fresco con il rischio di perdere fette importanti di mercato che sarebbero poi difficili da recuperare. Inoltre si registra un aumento dei costi stimabile in 6/7 centesimi per ogni chilogrammo di merce trasportata che incide sulla competitività delle esportazioni nazionali. In gioco c’è un mercato verso il quale l’Italia ha esportato oltre 217 milioni di chili di frutta, di cui oltre 182 milioni di chili mele, con principali destinazioni l’Arabia Saudita (oltre 66 milioni di chili di mele), l’India (oltre 51 milioni di chili di mele) e gli Emirati Arabi (oltre 15 milioni di chili di mele)».

 

 

In questo tutte le tariffe mercantili sono al rialzo. Nella prima settimana di gennaio l’indice composito di Drewry per i container è aumentato del 61%, raggiungendo i 2.670 dollari per i container da 40 piedi, la principale unità di misura del comparto. È quanto afferma uno studio dell’Ispi. L'incremento è del 25% rispetto alla stessa settimana dell’anno scorso e dell’88% superiore rispetto alle tariffe medie del 2019 (pre-pandemia). Ad esprimere preoccupazione è il presidente dell’Abi, Antonio Pautelli, secondo il quale «il problema principale per l’economia è il rischio che il conflitto mediorientale si ampli, si allarghi, e che blocchi perfino il Mar Rosso e i due canali di Suez, costringendo i commerci a circumnavigare l’Africa invece che passare da Suez. Questo porterebbe forti rischi di innalzamento di costi, di ripresa di inflazione, e quindi di raffreddamento di questa tendenza al ribasso dei tassi di mercato».

 

 

Assoutenti fa notare che le quotazioni del petrolio sono immediatamente salite mentre le petroliere cambiano rotta e registrano forti ritardi nelle consegne, spiega il presidente Gabriele Melluso: «Fattori che rischiano di determinare a breve un incremento dei prezzi di benzina e gasolio alla pompa: un aumento ipotetico del 10% dei listini al pubblico praticati dai distributori». C’è infine il rischio di rincari per le bollette energetiche, con il gas che nelle ultime ore è balzato a 32 euro al MWh al Ttf di Amsterdam con un incremento che sfiora il 4%.

 

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