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Iran, tragica fine per Mohsen Shekari: impiccato per le proteste contro il regime

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Luca De Lellis
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Impiccato per aver manifestato contro i soprusi del regime iraniano. È la storia di Mohsen Shekari, 23 anni, arrestato durante le proteste e condannato alla pena di morte lo scorso 20 novembre dalla magistratura della Repubblica Islamica. La Bbc Persia ha annunciato che si tratta della prima sentenza di morte inflitta a un dimostrante. Il ragazzo è stato giustiziato nella mattinata di giovedì 8 dicembre, perché ritenuto colpevole di “inimicizia contro Dio”. Shekari era stato preso in custodia perché accusato di aver bloccato una strada a Teheran, la capitale dell’Iran, lo scorso 25 settembre e di aver aggredito e ferito con un coltello un agente delle forze paramilitari. In base alle parole del sito di notizie della magistratura iraniana, “Mizan”, Shekari avrebbe confessato anche di aver ricevuto da un conoscente una ricompensa monetaria per attaccare le forze di sicurezza.

 

 

Purtroppo, la serie di omicidi difficilmente terminerà con lui. Almeno altre 12 persone nelle scorse settimane sono state dichiarate soggette alla pena capitale a causa di un loro coinvolgimento nelle ribellioni sociali in corso contro il regime. Contestazioni inaugurate circa tre mesi fa, dopo che una donna di 22 anni, Mahsa Amini, era morta mentre si trovava in arresto per non aver indossato correttamente il velo. Per altri dati raggelanti, l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana aggiunge che circa 475 manifestanti sono stati uccisi e 18.240 sono stati arrestati. Inoltre, sono deceduti anche 61 membri del personale di sicurezza.

Ma le proteste guidate dalle donne proseguono. Nel tempo si sono estese in 160 città sparse in tutte le 31 province del Paese e sono individuate come una delle sfide più serie per la Repubblica Islamica dalla rivoluzione del 1979. I leader iraniani le hanno delegittimate come “rivolte” istigate dai nemici stranieri del Paese e hanno impartito l’ordine alle forze di sicurezza di “affrontarle con decisione”. Anche la Nazionale di calcio iraniana durante il Mondiale del Qatar si è unita al coro di proteste, rifiutandosi di cantare l’inno durante la prima gara della competizione.

 

 

Il direttore della Ong Iran Human Rights con sede in Norvegia, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha scritto su Twitter che le esecuzioni dei manifestanti inizieranno a verificarsi quotidianamente, a meno che le autorità iraniane non siano messe di fronte a “rapide conseguenze pratiche a livello internazionale”. Insomma, urge un aiuto esterno dell’ONU o di altre organizzazioni transnazionali che possano in qualche modo stoppare una situazione ormai non più sostenibile.

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