Hunter Biden, dal computer del figlio del presidente Usa esce di tutto. "Ossessionato", terremoto a Washington
Una nuova bufera su Hunter Biden che rischia di travolgere il più famoso padre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Tutto scaturisce dal "famoso" computer portatile che il figlio del presidente ha portato ad aggiustare in un negozio del Delaware per poi lasciarlo lì. Il contenuto, compresi video, cronologia delle ricerche sul web e via dicendo, è finito nelle mani del Daily Mail e il tabloid britannico ha pubblicato parte del materiale da cui emerge "l'ossessione per il porno" di Hunter.
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Tra le chiavi di ricerca utilizzate in soli sei giorni, a marzo del 2019, spuntano frasi come "18 anni", "vedova solitaria", "porno cocaina crack MILF" mentre il tabloid ha potuto visionare "decine di video" che "rivelano anche la propensione di Hunter a filmarsi mentre fa sesso con prostitute e a pubblicare i filmati sul proprio account Pornhub con il nome utente 'RHEast'", si legge sul Daily Mail che specifica come il figlio del presidente nei filmati non mostri mai il suo volto. Hunter aveva un account premium su Pornhub dove avrebbe guadagnato diversi badge per l'uso intenso della piattaforma e su cui avrebbe caricato anche dei filmati. Su 281 siti visitati in quei pochi giorni 98 erano porno, scrive il giornale britannico.
Sempre attraverso Pornhub Hunter Biden avrebbe perfino condiviso con un altro utente un numero di telefono che aveva salvato sul cellulare come “Papà”. Il tabloid parla di decine e decine di video registrati con la webcam del suo laptop e che riprendono il 45enne mentre fa sesso con prostitute. "In un imbarazzante momento post-coitale, lo scarmigliato Hunter fa una smorfia, si piega a sinistra e scoreggia sonoramente" è il dettaglio assurdo che viene sottolineato nell'articolo rilanciato anche da Dagospia che, è probabile, scatenerà un polverone.
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Materiale scottante dal computer di Biden Jr erano uscite nell'ottobre del 2020 e riguardavano l'incontro organizzato da Hunter tra il padre e una società energetica ucraina nel 2015, di cui aveva scritto il New York Post. All'epoca l'Intelligence Usa aveva parlato di "disinformazione russa", ma recentemente il New York Times ha confermato l'origine del materiale.