Guerra Ucraina, la mossa di Erdogan per far sedere al tavolo Putin e Zelensky. Il piano turco
C’è un dato che testimonia il ritardo dell’Europa nel dossier russo-ucraino. Ed è l’attivismo del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che in un incontro con i giornalisti trasmesso dalla tv turca ha anticipato che, nelle prossime ore, chiamerà sia Putin che Zelensky e proverà a farli sedere ad un tavolo.
A Istanbul, ovviamente. Quasi contemporaneamente, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel (l’organismo che riunisce i capi di stato e di governo) aveva un colloquio telefonico con il leader del Cremlino che, stando alle anticipazioni, è parso sostanzialmente infruttuoso. La Turchia si è da subito accreditata come un player centrale per un negoziato che, per quanto difficile, appare necessario.
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Pacifica l’esistenza di interessi in campo, sia economici che geopolitici (riguardanti l’agibilità sul Mar Nero e soprattutto il fatto che Istanbul controlla una porzione della Libia, la Tripolitania, mentre la Russia controlla l’altra, la Cirenaica), ma il vantaggio politico acquisito da Erdogan in questa partita è inspiegabile. Mentre l’Europa, agganciata agli Stati Uniti sul piano dell’invio di armi e l’applicazione di sanzioni, sta già subendo i contraccolpi economici di tutto questo, mentre è del tutto marginale sul tavolo dei negoziati. La logica dell’alleanza per quanto preveda un’identità di valori fondamentali, in questo caso la democrazia e la libertà, non è detto debba prevedere una subordinazione piena di un componente rispetto all’altro, specie quando i livelli di contraccolpo sono del tutto diversi.
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Per quanto riguarda l’Occidente, basta andare a vedere la revisione a ribasso delle stime di crescita, molto più consistente nei Paesi Europei (Italia e Germania su tutti, vista la dipendenza energetica dalla Russia) rispetto agli Stati Uniti. E dunque appare come un dato oggettivo quanto rivendicato dal presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista a un pool di giornalisti di varie nazioni (per l’Italia il Corriere della Sera). “Spetta a noi europei costruire la pace sul nostro suolo”.
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Il processo di integrazione europea è stato spesso dopato di una retorica che vede l’Unione fucina di pace, democrazia, laicità, rispetto delle differenze. Fatto sta, che, oggi, “la costruzione della pace sul suo suolo” è nelle mani di un dittatore, musulmano, persecutore del dissenso interno, con la Cina, altra dittatura, sullo sfondo. Al di là del dividendo che Istanbul rivendicherà, un domani per tutto questo, resta il delinearsi di una enorme sconfitta storica per l’Europa.
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