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Emergenza immigrazione, Italia e Unione Europea prendano esempio dal nuovo modello di Boris Johnson

Andrea Amata
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Il dibattito remoto e ricorrente nell'Unione europea sulla gestione dei flussi migratori appare sempre di più un esercizio sterile, da cui non derivano decisioni risolutive. A Bruxelles da anni prevale il pool dei temporeggiatori, specializzati in tecniche dilatorie, che non affronta il tema migratorio, limitandosi ad eluderlo in modo da continuare a demandare ai Paesi mediterranei l'onere dell'esodo che si origina dal Nord Africa.

Eppure un modello di gestione esiste e si sta perfezionando in Oltremanica con il conservatore Boris Johnson, a cui dovremmo ispirarci. Il governo inglese per bloccare l'immigrazione clandestina ha deciso di impiegare la Marina militare sul canale della Manica per sbarrare il passaggio dei barconi e difendere i propri confini. La gestione dell'emergenza migratoria è stata pensata per evitare di interagire con quelle disfunzioni che si registrano nei Paesi assediati dagli ingressi irregolari. Cosicché, Boris Johnson ha stabilito che i migranti intercettati nella Manica verranno trasferiti in Ruanda per la verifica dei titoli dei richiedenti asilo, sgravando la Gran Bretagna sia dell'istruttoria delle domande sia delle spese per organizzare l'imponente macchina di assorbimento del fenomeno migratorio.

Il ministro degli Interni britannici Priti Patel, l'omologa della nostra Luciana Lamorgese (ci scusino a Downing Street per l'accostamento), si è adoperata per stipulare l'intesa con il Paese dell'Africa orientale in cui si osserva una delle crescite economiche più rapide al mondo, attestandosi come habitat ideale per percorsi di inserimento socio-economico.

L'iniziativa del premier inglese si è resa necessaria in conseguenza dell'intensificarsi dei tentativi di attraversamento della Manica, che avvengono sotto la direzione dei trafficanti di esseri umani. Questi sfruttano la disperazione, vendendo esosi ticket per l'illusiva conquista del benessere. Il pattugliamento del canale, per scoraggiarne i temerari attraversamenti, rappresenta un tassello significativo che si aggiunge al vigente procedimento di accesso selettivo sull'isola britannica.

Il governo inglese ha adottato un programma «a punti», che subordina l'ingresso legale al godimento di determinati requisiti a cui corrispondono dei punteggi. È fondamentale la conoscenza della lingua, possedere una specializzazione, dimostrare di aver ricevuto un'offerta di lavoro e presentare altri titoli funzionali al raggiungimento dello score (70 punti) per ottenere il «lasciapassare».

Un sistema che attrae capitale umano competente, disponibile ad integrarsi ed impermeabile a soggiacere al reclutamento della criminalità locale. Viene, così, privilegiata un'immigrazione «meritocratica», a cui le frontiere vengono spalancate. Mentre vengono arginati, con il rigoroso controllo, i flussi migratori indiscriminati che hanno effetti depressivi sulle retribuzioni, introducendo una concorrenza salariale verso il basso.

Dunque, nella linea adottata da Boris Johnson convergono sia le ragioni della destra, nell'incoraggiare una migrazione qualificata e nel contrastare il business dei trafficanti di essere umani, sia le sensibilità della sinistra nella difesa della classe lavoratrice dal «deprezzamento» salariale. Le voci di dissenso, come al solito, rinunciano ad approcciarsi con realismo sul fenomeno dell'immigrazione e si abbandonano alla scorciatoia della demonizzazione, accusando l'inquilino di Downing street n.10 di avere pulsioni xenofobe. L'opposizione laburista ha bollato la «militarizzazione» della Manica come gesto «crudele» e la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson si è affidata all'epiteto di «inumano».

Un'orchestra del politicamente corretto che sparge moralismo senza mai offrire soluzioni che guardino alla radice del problema: la necessità di stroncare il traffico di esseri umani.

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