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Russia-Ucraina, "perché è iniziata la guerra". La teoria di Dario Fabbri dopo 38 giorni di bombe: cosa vuole Putin

Giada Oricchio
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Trentanove giorni di guerra in Ucraina: Odessa bombardata, Mariupol assediata e Papa Francesco che sta valutando una visita ufficiale a Kiev. Ma come e perché la Russia è arrivata a invadere l’Ucraina? Dario Fabbri, analista geopolitico, ha raccontato la genesi del conflitto che sta cambiando il mondo in un articolo per “Scenari” del quotidiano Domani.

Si legge: “La Russia è certa che sia il momento di ripensare lo status quo europeo, ritiene che la congiuntura nazionale sia propizia. Le cause della guerra hanno origine antica e gemmano dalla cronica insicurezza russa e dalla volontà statunitense di conservare la presa sul continente europeo, mentre le principali nazioni europee risultano indecise sul da farsi”.

Secondo Fabbri, il Cremlino è mosso dall’impossibilità di convivere con l’attuale penetrazione della Nato, dalla volontà di imporre la neutralità a Kiev e dal desiderio di vedersi riconosciuta dignità di grande potenza mondiale affrancandosi dall’ingiuriosa definizione  di soggetto regionale pronunciata dall’ex presidente Barack Obama. 

Storicamente la rivoluzione di Maidan del 2014 ha sconvolto la visione russa perché l’Ucraina ha smesso di essere uno stato cuscinetto per abbracciare un crescente nazionalismo  e una visione più europea con il desiderio di entrare nella UE. Vladimir Putin ha deciso di agire ora perché credeva di aver percepito una certa distrazione di Washington: meno attenta sul fronte europeo e più concentrata sull’Indopacifico.

“Nella valutazione di Putin, stanchi e ossessionati dalla Repubblica popolare cinese, gli americani, dovrebbero concedere ampia tregua alla Russia per scongiurare eventuali rogne in Europa, per creare distanza tra Mosca e Pechino” scrive Dario Fabbri. Prima del via libera all’invasione, la mediazione del presidente francese Macron non è andata a buon fine perché Mosca si è persuasa che non avrebbe ottenuto i desiderati mutamenti sostanziali.

Tuttavia Putin ha abbandonato la massima revisione geopolitica per concentrarsi su obiettivi più concreti da raggiungere con la forza: “Così il 21 febbraio il Cremlino ha siglato il riconoscimento delle Repubbliche ribelli sedicenti del Donbass inviando peacekeeper. Deluso dal minore cabotaggio della politica americana, Putin ha scelto di attaccare militarmente”. E ora? Adesso, l’Orso “deve vincere la guerra strategica senza impantanarsi nelle pianure locali e senza compattare il fronte occidentale contro di sé. Impossibile sarebbe rimanere sul territorio sine die”.

Ma riscrivere la storia non è operazione semplice perché, come nota Fabbri, la “prova militare potrebbe rivelarsi sterile nel lungo e medio periodo giacché inevitabilmente intensificherà il sentimento nazionalistico ucraino in funzione antirussa. La Russia tra qualche tempo rischia di affrontare i medesimi problemi al cospetto di vicini e nemici distanti dalle sue pretese, un estero vicino temporaneamente sedato mentre sotto cova il fuoco della rivincita”.

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