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Il satrapo Erdogan si rifà l'immagine, ma è meglio diffidare del vertice di Istanbul

Andrea Amata
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Il satrapo turco Recep Tayyip Erdogan è stato l'anfitrione dei colloqui di pace fra l'Ucraina e la Russia, assumendo il ruolo del mediatore per l'interesse di mondare la propria immagine deteriorata a causa sia del sostegno all'Isis nel teatro siriano sia della gestione repressiva sul dissenso interno. Il premier Mario Draghi lo apostrofò come «dittatore» in seguito all'umiliazione riservata alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a cui fu negata la sedia e marginalizzata durante un vertice con i rappresentanti delle istituzioni europee. Il presidente turco si è incaricato di determinare la ricomposizione dei rapporti fra Kiev e Mosca, appropriandosi di un prestigio internazionale nonostante una biografia politica che si è conclamata nell'ostilità all'esercizio delle prerogative democratiche.

 

 

Tuttavia, i progressi registrati nel tavolo negoziale sono riconducibili all'indomita resistenza ucraina e al supporto che questa ha ricevuto dall'Occidente. Senza la reazione oppositiva all'invasione russa, declinata nella controffensiva armata e nell'imposizione delle sanzioni, non ci sarebbe stato il presupposto per allestire il tentativo negoziale della pace. In questo senso occorre fare una distinzione fra la pace autentica, che si riconquista in seguito alla sua violazione, e la pace pacifista che è una simulazione del concetto di pace, limitandosi al ruolo di spettatrice della sopraffazione. Chi aspira alla pace non si aliena dalla disputa, ma vi partecipa con i mezzi in dotazione per ripristinare un equilibrio geo-politico che sia accettabile per la sicurezza delle democrazie.

 

 

Sui passi avanti stabiliti nei colloqui di Istanbul occorre la massima prudenza, perché la spregiudicatezza e l'inaffidabilità russa non consente di abbassare la guardia. Putin è stato costretto a ridimensionare i suoi obiettivi militari e a ripiegare nell'area sud-orientale dell'Ucraina, concentrandosi sulla Crimea e il Donbass. La neutralità e la demilitarizzazione richiesta come contropartita a Zelensky potrebbe generare nuove tensioni, considerando la volontà di Kiev di aderire all'Ue anche per vincolarsi al progetto della difesa comune e per godere degli strumenti di deterrenza idonei al contenimento della minaccia moscovita.

 

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