Vladimir Putin è con le spalle al muro: rivolta in Russia per un eventuale accordo di pace. Il rischio del regime vulnerabile
La Russia archiviata l’idea di riuscire a occupare tutto il Paese in poco tempo, deve concentrarsi su un obiettivo alla volta. E ora la priorità è il Donbass. Sta solo guadagnando tempo per raggruppare l’esercito e focalizzarsi sull’Est Ucraina. E giustifica questi movimenti col pretesto dei negoziati. L’analisi è di Tatjana Stanovaja, direttrice del centro di studi politici «R. Politik», in un’intervista a Repubblica. La Stanovaja sostiene che «Putin perderà il sostegno sociale se perderà la guerra, non se continuerà a combattere. Oggi, dopo le prime indiscrezioni sui negoziati, i social network sono stati inondati di post che paragonavano l’eventuale sigla della proposta ucraina agli Accordi di Khasavyurt firmati dopo la prima guerra cecena. Furono il più grande fallimento dell’era Eltsin. Putin ha creato delle aspettative descrivendo l’operazione come una ‘lotta al nazismo’. Non può permettersi un ‘Khasavyurt 2’. Per la parte più radicale e patriottica della società, sarebbe un tradimento».
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Ma l’andamento dell’operazione come sta influenzando gli equilibri all’interno della cerchia dei «siloviki», delle forze di sicurezza? «All’interno delle élite e della leadership c’è - spiega la Stanovaja - del risentimento nei confronti dello Stato maggiore: l’operazione non è stata veloce come previsto e sta causando perdite. Possiamo immaginare lotte intestine tra i ‘siloviki’: l’ Fsb contro la Difesa, la Difesa contro l’Fsb. Ma non penso che Putin sia pronto ad ammettere che la sua strategia e i suoi obiettivi iniziali fossero sbagliati. Non è pronto a punire i veri responsabili delle operazioni perché, ai suoi occhi, minerebbe i pilastri del suo stesso regime. Né può farsi nemici nell’esercito o nei servizi, deve trattare con loro perché ha bisogno di loro. Almeno per ora».
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Un’altra domanda che sorge spontanea è se nei confronti di Putin ci sia del risentimento. La Stanovaja risponde così: «Una significativa parte dell’élite è rimasta scioccata dall’offensiva. Non era stata informata e non era preparata. Ma il dissenso non si è tramutato in azione. La resistenza resta silenziosa. Anche se molti non sono d’accordo con Putin, tendono a giustificarlo e ad accusare l’Occidente di non aver compreso le preoccupazioni russe. I fedelissimi di Putin non si ribelleranno contro di lui. Ma nella periferia dell’élite, persone come Deripaska, Fridman, Dvorkovich si sono già espressi contro la guerra. Il problema è che non hanno nessun potere su Putin. Perché appaia un movimento contro la guerra, il regime deve apparire vulnerabile. E non siamo ancora a questo».
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