Le multinazionali festeggiano per il blocco: niente tasse mondiali per i giganti del web
Le impresi digitali fanno festa. E il merito sarebbe del senato statunitense che tarda ad approvare la tanto agognata tassazione globale sui giganti del web, decisa dal G20. L’approvazione dell’imposizione fiscale sarebbe infatti bloccata nel calderone della burocrazia made in USA. E non può nulla neanche Janet Yellen, segretario al tesoro degli Stati Uniti che al termine dello scorso meeting del G20 in Brasile era stata invitata da alcuni governi del G7 a sottolineare l’importanza dell’entrata in vigore della misura. Ma un accordo tra democratici e repubblicani per far passare questa misura al Senato è quasi impossibile prima delle presidenziali del prossimo novembre. Prima di spiegare perché la macchina politica statunitense stia affossando la nuova tassazione, è necessario un passo indietro e capire come sia nata questa imposta.
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Come spiegato da Tommaso Faccio su Il fatto quotidiano, di una tassazione dei giganti del web si parla dal 2017. Lo ha fatto per la prima volta Pier Carlo Padoan che al tavolo del G20 spingeva per una soluzione politica all’elusione fiscale dei vari Google, Facebook, Amazon, Netflix, Booking. Pratiche elusive delle aziende che “deprivano, su scala globale, gli erari dei Paesi di un gettito equivalente al 10% di quello complessivo dell’imposta sul reddito delle società”. Un primo accordo sulla tassazione globale è arrivato a ottobre 2021: un’imposta minima del 15% e una redistribuzione degli utili globali delle 100-200 più grandi multinazionali sulla base del fatturato. Con questa tassazione, le filiali di multinazionali italiane, americane, inglese “dovranno pagare un’aliquota effettiva di almeno il 15% anche nei paradisi fiscali” – scrive il giornalista. Una misura disincentivante all’uso dei paradisi fiscali da parte delle multinazionali e celebrata come una vittoria. Parziale però, perché l’imposta è stata nel frattempo depotenziata con una serie di esenzioni e scappatoie.
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“Così com’è, dovrebbe aumentare il gettito fiscale globale delle multinazionali solo del 4,8%, circa 200 miliardi di dollari all’anno, invece che del 9,5% - spiega Faccio –. Se abolissero le varie esenzioni, i governi potrebbero raccogliere 130 miliardi di dollari in più”. Ad aggiornarci sullo stato di salute della tassazione è stato di recente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “Temo che la tassazione globale delle multinazionali vada a naufragare, - ha dichiarato – questo ho percepito partecipando agli incontri del G20 e G7”. Timore nato dal principale motivo per cui la tassazione è ferma al palo: l’approvazione del trattato fiscale internazionale da parte dei due terzi del Senato americano al momento impossibile. Il colpo di grazia definitivo? La stima dello studio del Joint Committee on Taxation americano che ha stimato una perdita per lo stato di almeno 1 miliardo e 400 milioni di dollari con l’entrata in vigore della misura. Nel frattempo – conclude Faccio – mentre la misura viene affossata, il governo italiano osserva impotente: “Per il governo Meloni, che ha fatto suo il motto ‘no alla patrimoniale, sì alla giusta tassazione per i giganti del web’ e alle prese con la presidenza italiana del G7 fino a fine anno, non un gran bel vedere”.
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