Governo, reddito di cittadinanza sempre più pesante. Ma stipendi fermi: servono misure
Se la priorità del nuovo governo è aiutare i più deboli a superare la crisi provocata dall'impennata dei costi dell'energia non va tralasciato il secondo aspetto, che è speculare, e cioè aumentare il potere d'acquisto dei lavoratori, tutti complessivamente, alle prese con rincari e inflazione. Un dossier meno urgente ma non eludibile per evitare situazioni paradossali.
Mentre infatti reddito e pensione di cittadinanza sono adeguati al costo della vita, i salari sono fermi soprattutto perché i rinnovi contrattuali sono al palo. Accade infatti che, in quasi quattro anni di servizio delle misure, l'importo medio mensile percepito dai beneficiari dei due sussidi sia passato dai 492,17 euro del 2019 ai 551,81 di quest' anno, con un balzo pari a un +12,1%. A trainarne la crescita, in particolare, è l'aumento registrato dall'assegno della pensione di cittadinanza, il cui ammontare è cresciuto di quasi il 27%, passando dai circa 221 euro erogati all'inizio agli oltre 280 del 2022. La somma mensile distribuita ai percettori del reddito, invece, è aumentata meno (+9,8%), ma l'importo medio è più sostanzioso: è stato 582 euro tra gennaio e agosto di quest'anno, contro i 530 euro dell'inizio della misura. Se si è in Campania, però, l'assegno mensile è lievitato a quasi 645 euro, risultato record tra le regioni perché è oltre 200 euro in più dei circa 440 percepiti dai beneficiari del bonus nelle province autonome di Trento e Bolzano.
La Campania è anche la regione con più nuclei familiari beneficiari: quasi 319mila quest' anno, per un totale di oltre 827mila persone coinvolte (856mila contando i pensionati di cittadinanza), un quarto del totale. Una cavalcata non facile da spiegare. Secondo l'Inps «per il reddito e per la pensione di cittadinanza le variazioni dell'importo medio mensile della prestazione dipendono dagli ingressi e dalle uscite nella misura, dalla variazione dei diversi parametri di calcolo per i nuclei persistenti nella misura (es. composizione del nucleo familiare, reddito familiare, ecc.), nonché dall'applicazione di provvedimenti amministrativi come l'accorrentamento delle maggiorazioni sociali o la sospensione obbligatoria dopo la diciottesima mensilità».
Insomma, da fattori «demografici» e dall'impoverimento degli italiani durante la crisi innescata dalla pandemia. Ma il sospetto - purtroppo confermato dai tanti furbetti pizzicati dalla legge mentre beneficiavano impropriamente della misura - è che la crescita sia legata anche da quanto i beneficiari corrispondono ai requisiti richiesti: dopotutto reddito (e pensione) di cittadinanza sono legati all'Isee, che può essere abbassato, ad esempio, riducendo artificiosamente la giacenza media sul proprio conto corrente. Qualunque sia il motivo dell'incremento, la corsa del reddito di cittadinanza si sta tramutando in un esborso sempre più pesante per le casse dello Stato. Il costo previsto del sussidio, nel 2019, era di 7,2 miliardi. Nel 2020 è costata il 37% in più, e un ulteriore 21% nel 2021.
Complessivamente, calcola un report dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, tra aprile 2019 e dicembre 2021 la spesa pubblica per Reddito e Pensione di Cittadinanza è stata di 19,8 miliardi. Quest'anno ce ne potrebbero volere altri 9, per un totale di quasi 29 miliardi in poco più di tre anni. Un ritmo di crescita enormemente superiore a quello registrato, negli ultimi anni, dagli stipendi. Che, anzi, faticano a recuperare i livelli precrisi. Secondo gli studi della Fondazione De Vittorio, nel 2021 il salario medio reale annuale di un dipendente è stato di 29.440 euro, con uno scarto netto (+5,3%) sui 27.900 euro circa del 2020, ma ancora inferiore dello 0,6% ai livelli del 2019 (29.623 euro). E anche quest'anno, i salari non voleranno di certo: la Nadef prevede per il settore privato retribuzioni in aumento appena dell'1,8% nel 2022, del 2,9% nel 2023 e del 2,5% nel 2024. Incrementi a bassa velocità, anche perché sono molti i contratti ancora da rinnovare. Quelli del settore privato registrati al Cnel al 5 settembre di quest'anno erano 941, e di questi il 58,9% - pari a 554 - è scaduto: i dipendenti in attesa di rinnovo sono oltre tre milioni, considerando solo i contratti più rappresentativi del commercio, del turismo e delle professioni.
Gli stipendi - che, in fondo, sono quelli che alimentano le misure di sostegno attraverso la fiscalità generale e i contributi - rimangono quindi congelati, e i sussidi che contribuiscono a fornire crescono. Una situazione paradossale e difficilmente sostenibile sul lungo periodo, che il nuovo governo è chiamato ad affrontare, tra le urgenze più stringenti del Paese.