L'Europa mette in riga l'Italia: "Stop debito, basta il Recovery". La pacchia è finita
Non è più tempo di spesa indiscriminata. La fase dell'emergenza Covid è terminata, anche se ora la guerra in Ucraina pone altre incognite. Ma, per affrontarle, c'è già il Recovery.
L'Italia deve accontentarsi di quello e smetterla con i bonus a pioggia. È il senso delle raccomandazioni che oggi la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen consegnerà al governo di Mario Draghi. Anticipate, peraltro, da una lunga intervista a La Stampa del commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni. Colloquio in cui l'ex premier non usa mezzi termini: «La forte ripresa prima e la guerra poi hanno stravolto il quadro. Se pensassimo di essere ancora in una fase in cui sono possibili sostegni di ogni tipo prenderemmo un abbaglio. Non sto teorizzando un ritorno all'austerity ma quello che abbiamo fatto durante la pandemia non è più possibile, per almeno due ragioni. La prima: non è necessario. Due: sarebbe un azzardo. La forte crescita dei prezzi eil probabile aumento dei tassi di interesse entro l'estate sono due fattori con i quali siamo costretti a fare i conti».
Traduzione: «drogare» l'economia facendo altro debito e distribuendo soldi a pioggia rischia di avviare un circolo vizioso che finirebbe con l'ingoiarsi i bilanci dei Paesi più fragili dell'Unione. Tra i quali, a causa dell'enorme debito pubblico, c'è soprattutto l'Italia. Peraltro, la tirata d'orecchi arriva il giorno dopo che la Cgia di Mestre ha fornito un quadro abbastanza emblematico dei sostegni «artificiali» all'economia ancora in vigore in Italia: si tratta di più di quaranta bonus in gran parte introdotti dagli ultimi due esecutivi per fronteggiare Covid e guerra e «si stima che costeranno allo Stato almeno 113 miliardi di euro». In pratica, quanto cinque leggi finanziarie. Come fare, allora? Gentiloni la butta giù semplice: «In questo nuovo contesto il piano nazionale delle riforme è l'antidoto al rischio della stagnazione. Anzi, si potrebbe dire che senza l'attuazione del Recovery Plan l'Italia rischia la recessione».
Il punto è il quando e il come. Perché l'attuazione del Pnrr nei tempi prestabiliti si sta rivelando una mission impossible. Per le riforme bloccate in Parlamento, certo, ma anche peri problemi cui stanno andando incontro gli enti locali, dei quali dà un quadro dettagliato il sindaco di Pesaro Matteo Ricci nell'intervista della pagina a fianco. Anche il come, però, è decisivo. Un esempio lo si può trarre dalle stesse raccomandazioni della Commissione europea che saranno rese note oggi e che tornano su un vecchio cavallo di battaglia: spostare la tassazione dal lavoro alle cose. E, quindi, abbassare l'Irpef per massimizzare altre entrate. A partire dall'aggiornamento dei valori catastali con l'adeguamento a quelli di mercato. Peccato che la riforma degli estimi del governo Draghi sia stata fatta proprio per evitare, almeno fino al 2026, aumenti fiscali. E questo perché, in caso contrario, la riottosa maggioranza sarebbe esplosa.
Nella maggioranza, peraltro, si levano già voci piuttosto infastidite dall'imminente richiamo europeo a risanare i conti. «Siamo in grado di governarci da soli - tuona il leader della Lega Matteo Salvini -Io penso e spero che in tempi di pandemia e di guerra l'Unione europea si occupi di pace e di lavoro, senza dare pagelline o fare richiamini burocratici. Non abbiamo bisogno della consulenza altrui». E ancora: «Se la Ue ci impone di aumentare la tassa sulla casa si attacca. La casa per gli italiani è sacra. Se qualcuno a Bruxelles ritiene che dovremmo tornare a tassare anche la prima casa, rimarrà deluso» conclude Salvini.
La luna di miele della politica con le istituzioni comunitarie, partita con l'erogazione dei fondi per il Pnrr, sembra insomma stia cominciando a scricchiolare. Anche se, per lo meno per il momento, eventuali «mancanze» dell'Italia non partoriranno procedure di infrazione. Per il semplice fatto che il Patto di Stabilità resterà sospeso anche per il prossimo anno. Con l'augurio che, al ritorno in vigore, sia passato attraverso quella riforma che la Commissione potrebbe cominciare a delineare dopo l'estate. Il rischio maggiore per Roma, insomma, per ora è «solo» il mancato raggiungimento degli obiettivi del Pnrr e il conseguente stop all'erogazione dei fondi europei. Uno scenario che, da solo, basta per far tremare i polsi. E spiega a sufficienza il nervosismo crescente di Mario Draghi.