Il Fisco ci riprova dopo il Covid. Così con il redditometro spierà le nostre spese
Passata la nottata della pandemia, con il blocco delle attività e dei flussi di cassa della maggior parte delle attività imprenditoriali, il fisco italiano si prepara a far ripartire l’eterna guerra ai furbi. Molti dei quali hanno ottenuto ristori dall’Agenzia delle Entrate direttamente sui loro conti, confermano in quella occasione l’efficienza e la velocità dell’erario. Ora con la ripresa della normalità gli 007 del fisco iniziano ad affilare le armi per stanare chi le tasse non le vuole proprio pagare. Così dopo averlo seppellito causa virus in qualche cassetto torna in tutto il suo splendore il redditometro. Uno strumento che dall’incrocio dei dati di ogni contribuente presenti nelle più varie banche dati per calcolare in via presuntiva se i redditi dichiarati si accordano con il tenore di vita effettivo. Così dalle spese per i consumi alimentari a quella sanitaria ma anche telefonini, ristoranti, centri benessere, mutuo o assicurazione, tutto entrerà nel cervellone che tirerà fuori il reddito di ogni cittadino e segnalerà le anomalie agli ispettori che eventualmente ne chiederanno conto.
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Che lo strumento sia ripartito è stato evidenziato dal Ministero dell’economia che ha lanciato sul tema la consultazione pubblica. L’invito è stato rivolto alle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori che dovranno segnalare le loro osservazioni sullo schema di decreto per individuare gli elementi indicativi di capacità contributiva, finalizzato alla determinazione sintetica dei redditi delle persone fisiche relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2016. In base alla norma in questione, con decreto del ministro dell’Economia, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale, sentiti l’Istat e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori, sono individuati gli elementi indicativi di capacità contributiva, mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area geografica di appartenenza. Sono quattro i gruppi delle spese prese in considerazione (consumi, investimenti, risparmio, spese per trasferimenti) da incrociare con una «griglia» di 11 tipi di famiglie di 5 aree geografiche (Centro, Isole, Nord-est, Nord-ovest e Sud). Le voci di spesa sono tante: dalle bevande ai gioielli, dal cappuccino all’acquisto di cavalli, dalla spesa per il consumo elettrico all’acquisto di oggetti d’arte o di antiquariato, dai ricambi per l’auto, ai canoni del leasing. La consultazione si chiuderà il 15 luglio.
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Ma tra i consumatori non manca chi invita a non allarmarsi. «Attenti al pollo di Trilussa! Non deve bastare uno scostamento del 20% delle medie Istat per far scattare un accertamento. Già in passato, dopo l’intervento del Garante della Privacy, si decise di non far concorrere le medie Istat né alla selezione dei contribuenti né a formare l’oggetto del contraddittorio», avverte Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori «Per fare un esempio pratico. Secondo i dati resi noti mercoledì scorso dall’Istat, in media una famiglia spende 42,54 euro al mese in bevande alcoliche e tabacchi, pari a 510,48 euro all’anno. Peccato che se in una famiglia nessuno fuma e sono astemi le spese siano pari a zero. Per abbigliamento e calzature si spendono 87,98 euro al mese, pari a 1055,76 euro all’anno. Possibile che uno scostamento di appena 211 euro, il 20%, sia sufficiente per insospettire il Fisco? Basta che un componente della famiglia comperi quell’anno un cappotto, ossia decida di fare una tipica spesa una tantum, per falsare la media e superare il tetto» prosegue Dona. «Quanto alle spese per i medicinali, stabilire il principio che più uno è malato più è ricco sarebbe singolare. Ancor più strano andare a vedere le bollette di luce e gas, visto che spesso le famiglie povere, a parità di fabbisogno, pagano di più, non avendo elettrodomestici in classe energetica A, non avendo rifatto gli infissi e così via. La chiamano povertà energetica» conclude Dona. Chi nasconde deliberatamente però ha meno chance di sfuggire.
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