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Niente nomine Fs, ira del Tesoro

Filippo Caleri
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Lo stop imposto al pacchetto di nomine per le controllate delle Ferrovie dello Stato (Rete ferroviaria italiana e Trenitalia) con il voto contrario del presidente Gianluigi Castelli ha fatto ingoiare un boccone amaro al ministero dell’Economia, azionista unico della società ferroviaria. I rumors raccolti da Il Tempo, raccontano di sconcerto misto a irritazione nelle stanze del dicastero di via XX settembre non appena appresa la notizia del blocco. Soprattutto perché la considerazione velenosa è che Castelli ha di fatto disatteso le indicazioni, concordate tra il Mef e l’azienda, sulle quali si era trovato un accordo pieno. 
Insomma oltre al danno anche la beffa condita da uno sgarbo istituzionale mal digerito dalle alte sfere dell’Economia che, sul dossier, avevano speso non poche energie per trovare la quadra. Ira che ha preso anche la piega di una ritorsione dura che punterebbe a chiedere le dimissioni del presidente. Insomma chi non è d’accordo su un’intesa condivisa può andarsene sarebbe il mantra che viene ripetuto da giorni nelle stanze dei bottoni dell’Economia. Nel cui mirino sarebbe entrata anche la consigliera Vanda Ternau, consigliera da 10 anni nel perimetro societario. Da Trieste, la Ternau, che per evitare spostamenti verso Roma ha fatto allestire un ufficio nelle sede locale di Rfi, è entrata nel gruppo il 5 agosto 2010. Al tempo il leghista Roberto Castelli era viceministro delle Infrastrutture. Da allora è riuscita sempre a conservare il suo posto nonostante le diverse maggioranze politiche che si sono succedute nel tempo. Anche con Renzi, il rottamatore che aveva puntato sul rinnovamento delle cariche nelle società pubbliche, la Ternau era riuscita a restare nel gruppo passando dal consiglio di Rfi a quello delle Fs dal 28 maggio 2014.

Una veterana, dunque, delle logiche che governano i rinnovi del management delle società pubbliche e che ha reso ancor più incomprensibile il suo veto espresso nel cda di lunedì scorso. Anche se, per i ben informati la Ternau avrebbe espresso la sua contrarietà dopo aver puntato, senza successo, alla presidenza della Rfi. A smontare la sua nomina, però, anche dinamiche interne sulla sua gestione di alcuni dossier. Ancor meno comprensibile è però il comportamento di Castelli che pur essendo stato inserito alle Fs in quota Lega due anni fa è entrato nei ranghi delle Ferrovie come direttore centrale Sistemi informativi tempo prima: nel 2016, quando l’ad era Mazzoncini, nominato nel dicembre 2015. Ed è forse da ricollegare al movimentismo dei renziani sulle nomine in generale, e in particolare sulle Ferrovie, il braccio di ferro ingaggiato da Castelli. Nel tentativo forse di accreditarsi con Italia Viva che, però, aveva condiviso senza ostacoli la quadra sulla lista di nomi presentata. Castelli avrebbe puntato sul fatto che Iv non aveva digerito l’uscita dalla poltrona di ad, anzitempo, del bresciano Renato Mazzoncini nel 2019. Sostituito perché rinviato a giudizio per truffa a Perugia nel giugno 2018 quando era a capo di Busitalia Sita nord. Allora, secondo la clausola etica inserita dal Mef nello statuto di Fs, a far scattare la decadenza dal ruolo di amministratore bastava un rinvio a giudizio per reati finanziari a meno che l’assemblea dei soci non lo avesse confermato. Sull’applicazione della clausola Mazzoncini aveva ingaggiato un braccio di ferro con il Mef, ma il cda decadde comunque per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri. 
Qualunque siano le motivazioni delle scelte di presidente e consigliere la palla ora torna in gioco. Un nuovo cda è fissato lunedì 17 dicembre per discutere lo stesso ordine del giorno. A oggi il Mef dovrebbe ripresentare lo stesso pacchetto di nomi per i posti, tra i quali spicca anche una casella di comando di peso affidato a una manager interna molto operativa. Per la società della rete era stata proposta come ad Vera Fiorani, attuale Cfo della stessa società. Un’occasione persa per la battaglia della parità di genere nei posti più alti di responsabilità. Ora si ritenta.
 

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