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Gli errori di Cesare Romiti sulla strategia Fiat, l'altra verità sul manager

Fabrizio Cicchitto
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Caro Direttore,
di Cesare Romiti ho una visione più dialettica e meno angelicata delle interpretazioni che sono uscite in questo periodo sui giornali.

Intendiamoci, la rappresentazione largamente agiografica che di lui è stata data tanti anni di distanza dai tempi della sua potenza, e’ già di per se’ una prova del rilievo del personaggio. Ciò premesso, però, non possiamo fare a meno di rilevare che l’ascesa di Romiti alla carica di amministratore delegato della Fiat e poi il totale predominio sulla azienda, e’ il segno che in Italia non c’è’ stato certamente “l’esproprio proletario” ad opera delle masse operaie guidate dalla CGIL e dal PCI, ma invece c’è’ stato “l’esproprio bancario” ad opera di Cuccia e di Mediobanca che prima propose Romiti come amministratore delegato a Gianni Agnelli, e poi impose a quest’ultimo di rompere la continuità della successione familiare per cui Umberto Agnelli fu estromesso e tutto il potere fu consegnato nelle mani di Romiti. Per di più Ezio Mauro, che è stato uno dei pochi che ha fornito una ricostruzione reale di ciò che avveniva nella “Real casa” ha ricordato la complessità dei rapporti fra lo stesso Romiti e Giovanni Agnelli.

In effetti, Cesare Romiti è stato il braccio armato di Cuccia. E Cuccia, soavemente disse a Gianni Agnelli: “Se Umberto sara’ l’amministratore delegato con grande difficoltà le banche daranno crediti all’azienda”. Dopo di che Gianni Agnelli e’ stato in modo geniale il rappresentante mediatico e talora anche politico dell’azienda, ma il potere reale sulle scelte produttive di essa e’ stato sempre di Romiti.

Romiti ha esercitato molto bene questo potere reale nella durissima lotta al terrorismo, perché le br si erano davvero insediate nella azienda con rischi per la sua tenuta.

Romiti non sbaglio la un colpo anche sul terreno della vertenza sindacale, dall’altra parte  BERTINOTTI,  Claudio Sabatini, i delegati aziendali condizionati da alcune migliaia di estremisti, sbagliarono totalmente la gestione finale della controversia.

A quel punto, invece, Romiti e il suo braccio armato Calleri,  organizzo ‘assumendosi dei rischi enormi la marcia dei quarantamila - che in effetti era di ventimila - e vinse la partita.

Dove invece Romiti va sottoposto ad una critica di fondo e’ nella gestione della Fiat come grande azienda automobilistica: l’eliminazione di Ghidella, cioè del cervello della azienda nella produzione dell’auto, fece alla Fiat un danno straordinario. Un altro danno decisivo fu quello di puntare a fare della Fiat un gruppo polisettoriale impegnato nelle più  varie attività, perdendo così la specificità produttiva dell’azienda, per di più  molte di queste attività andarono in passivo. Se non fosse sopravvenuto successivamente Marchionne (per nulla gradito a Romiti) quella scelta e quelle successive di altri manager avrebbero costretto la Fiat a portare i libri in Tribunale. Quindi Romiti vinse nella lotta al terrorismo, e nello scontro con un sindacato estremizzato, ma perse sul terreno della strategia aziendale. Ancora più negativo fu l’andamento e la conclusione del rapporto fra Romiti e il pool di Mani Pulite. Nel confronto possiamo dire che avvenne davvero di tutto: per un verso Romiti si arrese ai ok, con una lettera nella quale elencava le tangenti distribuite dalla Fiat. Altrettanto fece Carlo De Benedetti. Certamente quelle due lettere hanno costituito una grande innovazione nella procedura penale e anche una tappa nella distruzione dello stato di diritto.

Comunque tutta l’operazione fu caratterizzata dal massimo delle mistificazioni. Parliamoci chiaro: alle origini il sistema di Tangentopoli fu costruito da Valletta per l’impresa privata e da Enrico Mattei per quella pubblica con la partecipazione di Tutti i grandi leaders politici di una d’epoca in cui il mondo era diviso in due blocchi: da un lato De Gasperi, Fanfani, i Dorotei, Ugo La Malfa, Saragat , dall’altro Togliatti e il Nenni frontista che erano finanziati dal KGB e dalle cooperative rosse. Sapevano ciò che facevano gli altri. Invece a un certo punto, dopo la caduta del Muro di Berlino, Romiti, De Benedetti e altri si sono presentati come dei poveri concussi mentre i concussori sarebbero stati Craxi, Andreotti, Di SAGLIA, Pomicino e altri. Una autentica rappresentazione teatrale con scarsi rapporti con la realtà.

Da questa mistificazione, però, è derivata la spinta all’antipolitica, alla distruzione dei partiti e all’attuale decerebralizzazione della politica. Comunque, in tutte queste situazioni assai arrischiate Romiti si mosse con la velocità e la ferocia di uno squalo che nuota in un ambiente che ben conosce.

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