Cecilia Sala, il suo ritorno figlio di calcoli freddi e spietati. La debolezza dell'Iran e l'all in di Meloni
Nessuno si faccia ingannare da sentimentalismi o aspetti romantici (valgono solo nei film di James Bond): il ritorno a casa di Cecilia Sala è figlio purissimo di calcoli freddi e spietati, gli unici che contano nelle battaglie di questo tipo (siamo dentro una guerra, ibrida sin che si vuole, ma pur sempre una guerra). Per questo occorre partire da una constatazione: Palazzo Chigi, cioè Giorgia Meloni e l’AISE, cioè il generale Giovanni Caravelli, hanno capito il punto essenziale di questa storiaccia, cioè l’oggettiva debolezza dell’Iran, del suo disgustoso sistema di potere, della sua ottuagenaria classe dirigente abbarbicata al potere, ma da almeno un anno a questa parte capace solo di prendere schiaffi da tutte le parti (Libano, Siria, Gaza e anche dentro casa).
Nello “spazio” generato da quella debolezza l’Italia si è infilata, facendo leva sull’unica combinazione operativa possibile, cioè quella tra politica e intelligence (con l’assistenza della rete diplomatica e della Farnesina). Parliamoci chiaro (senza offesa): all’Iran dell’ostaggio Sala importa pochissimo (per fortuna). Anzi, tutto sommato la giornalista italiana è voce non troppo ostile, nonché appassionata a quella terra e a quella gente.
Cecilia Sala, quei gufi che non l'hanno vista arrivare
Per Teheran il problema (enorme) è l’ingegnere: non per quello che fa (ormai è bruciato a vita), ma per quello che sa. E ancora di più per quel che rappresenta: in questi giorni tutti quelli che, in giro per il mondo, stanno facendo lo stesso lavoro sporco sono atterriti e stanno cercando di capire se il loro “dante causa”, cioè l’Iran, è in grado di proteggerli.
L’agenzia italiana di intelligence ha parlato con amici, mezzi amici e anche qualche nemico e ha disegnato il quadro: bravi, va detto. A quel punto però c’è bisogno di salire al piano più alto, dove gioca solo la politica. E lì Meloni s’inventa l’irrituale viaggio in Florida, l’irrituale colloquio con Trump e l’irrituale precipitoso rientro a Roma. Quel Trump che, alleato “totale” di Netanyahu, può solo essere temuto come la peste a Teheran (chi dubita si vada a leggere come ha fatto fuori senza tentennamenti Qasem Soliemani, 3 gennaio 2020).
Il Pd ci mette il logo, la rosicata di Prodi e la Salis ne approfitta
Ecco allora che la fretta non è Roma ad averla: ma sono i Pasdaran e la loro malmessa Guida Suprema ad avere tutto l’interesse a chiudere la vicenda fin che c’è Biden: dopo può solo andare peggio. Qui Meloni si gioca con coraggio la sua partita, fa ALL IN e vince, anzi stravince. Tutto il resto è poca roba, comprese (sia detto con rispetto) le dimissioni del direttore del DIS. Adesso dobbiamo gestire l’ingegnere, che non sarà consegnato agli americani (che però hanno in cella quell’altro, che sa più o meno le stesse cose di quello che abbiamo noi). Probabilmente lo libereremo, accettando, almeno un po’, l’odioso ricatto iraniano. Non si può avere tutto dalla vita, me ne rendo conto.