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Migranti in Albania, il costituzionalista avverte: cosa dice la Cassazione

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Quella di oggi  della Cassazione «non è una sentenza, è un’ordinanza interlocutoria. Molti giudici si sono rivolti alla Corte di Giustizia europea che si pronuncerà a partire dal 25 febbraio e l’Alta corte ha deciso di attendere il pronunciamento dei giudici del Lussemburgo che, a questo punto, sarà decisivo perché dovrà essere applicato, a cascata, dai giudici nazionali». Lo dice Salvatore Curreri, professore di Diritto costituzionale all’Università di Enna e tra gli esperti consultati dalla commissione Affari costituzionali della Camera in sede di esame della ratifica del protocollo Italia-Albania sui migranti.

Eppure dal centrodestra si affrettano a dire che «la Cassazione conferma che il Governo aveva ragione», mentre da sinistra dicono che l’Alta corte «ribadisce il primato del diritto Ue». Chi ha ragione? «Sono reazioni esagerate. L’unico motivo di soddisfazione che il Governo può dedurre è che la Cassazione non condivide l’orientamento del tribunale di Roma secondo cui un paese non può considerarsi sicuro anche in presenza di eccezioni di carattere personale. Si tratta infatti di una specificazione ulteriore che non trova riscontro nella sentenza della Corte di giustizia UE che si era limitata a considerare un Paese non sicuro soltanto in riferimento ad esclusioni territoriali». «Ci sono però almeno due motivi per i quali il Governo non dovrebbe gioire», aggiunge.

Quali? «Secondo la Cassazione, anche se il migrante proviene da un Paese che il Governo ritiene sicuro, il giudice, in sede di convalida del trattenimento, può comunque ritenere che vi siano gravi motivi che inducano a ritenere che in effetti non lo sia per la situazione particolare in cui egli si trova, a causa ad esempio di persecuzioni estese, endemiche e costanti che gravemente pregiudichino il valore fondamentale della dignità della persona e con esso il rispetto dei diritti fondamentali delle minoranze che devono connotare lo Stato di origine come Stato di diritto», risponde Curreri. «In più - aggiunge - il giudice, anche se non può sostituirsi o annullare la valutazione politica del Governo circa la designazione del Paese di provenienza del migrante come sicuro, può comunque valutarne la ragionevolezza e la non manifesta arbitrarietà specie quando tale designazione evidentemente non è più rispondente alla situazione reale, a seguito ad esempio di univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente, pensiamo ad esempio a quello che è successo in Siria». 

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