Le Sante Galere: il Papa a Rebibbia. Viaggio fra i detenuti del carcere
Speranze e timori di chi è recluso, che questo evento dall’alto valore simbolico sia solo una vetrina. Che alla fine di questa giornata resti tutto come prima, come se le parole di impegno e sensibilità, non fossero mai state pronunciate. Mancano pochi minuti alle 10 e mezza, Papa Francesco dopo la cerimonia che ha seguito l’apertura della Porta Santa, ha finito di salutare detenuti, operatori e appartenenti alla polizia penitenziaria che affollavano la chiesa del «Padre Nostro» nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Sale sulla sedia a rotelle che lo condurrà via. Si ferma ad ammirare il presepe fatto dai detenuti con il legno dei barconi dei migranti naufraghi a Lampedusa. All’esterno della basilica (come l’ha definita per l’occasione il Pontefice ndr) c’è la 500L bianca, motore acceso, pronta a riportare il Papa in Vaticano. Gli sportelli sono aperti e la vettura è posizionata già nella giusta direzione di marcia per rendere più veloce l’uscita. Francesco però fa un cenno agli uomini che lo circondano. Su quella macchina lui non salirà, almeno non prima di aver salutato tutte le persone che lo hanno accolto e hanno aspettato all’aperto durante la cerimonia. Sorride, stringe un’infinità di mani. La banda della polizia penitenziaria in alta uniforme suona «Astro del ciel». È proprio in questo momento che si cominciano a sentire voci lontane. Sempre più forti e nitide avvolgono l’intero piazzale all’esterno della chiesa e si fondono, in un’armonia che sembra perfetta, con la musica natalizia. Chiamano Francesco, invocano quel signore vestito di bianco che saluta la gente.
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Sono i detenuti rimasti nelle loro celle che dalle finestre dietro le sbarre gridano il suo nome e si aggrappano a quella che è la loro speranza: Francesco. Impossibile non emozionarsi davanti a questo scenario inaspettato. «La speranza non delude», ha più volte ribadito il Pontefice e l’apertura della Porta Santa a Rebibbia, sicuramente ha alimentato i «sogni buoni» di chi è recluso. «Politica e istituzioni non possono rimanere sordi all’appello del Pontefice» ripetono come un mantra i detenuti. «Nell’amnistia ci speriamo, ma in fondo ci crediamo poco. Quello che invece sarebbe possibile fare è un uso maggiore delle forme alternative alla detenzione soprattutto per le pene residue brevi o per chi è ancora in attesa di una sentenza definitiva». Una scelta questa, che contrasterebbe in maniera decisa il sovraffollamento, uno dei problemi principali delle carceri italiane in un anno record per suicidi in cella. «Ci vogliono cure specifiche per le tossicodipendenze e per chi ha disturbi psichici, persone che non possono essere abbandonate in cella», spiegano mettendo in rilievo anche la mancanza di personale e di operatori che certo non favorisce il rispetto dei diritti dei detenuti, primi fra tutti quello alla salute e alla cultura.
Il Papa apre la Porta santa a Rebibbia: "Cattedrale di dolore e speranza"
C’è chi poi si spinge oltre e parla di «armonizzazione» tra le varie figure che operano in carcere come magistratura di sorveglianza, dirigenza dei penitenziari, associazioni e cooperative sociali. «Tutte dovrebbero lavorare insieme per perseguire in maniera "armonica" l’obiettivo del reinserimento del detenuto e l’abbassamento della recidiva, perché un detenuto non è il suo reato ma una persona». Speranza sì ma poche illusioni per molti: «Domani sarà finito tutto. Quelle dette oggi (ieri ndr) sono solo parole che servono a poco. Il Giubileo dovrebbe durare per 365 giorni l’anno e non solo oggi». Il piazzale si svuota, i detenuti rientrano nelle loro celle e i visitatori lasciano il carcere di Roma. Percorrono via Raffaele Majetti: buche finalmente scomparse e asfalto appena rifatto. Potenza di un giorno dell’Anno Santo.