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Striano e il voto per il Quirinale, dopo Berlusconi scattò il dossier su Casellati

Rita Cavallaro
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Non solo il caro nemico Silvio Berlusconi. Ma proprio un dossier per provare a fermare Forza Italia nella corsa al Quirinale. Un due su due, quello di Striano&Co, che va in scena fra il 10 e il 27 gennaio 2022, nelle ore decisive per la scelta del Capo dello Stato. Dopo Berlusconi, infatti, dagli accessi illegali alle banche dati arriva il materiale per far saltare anche il secondo candidato azzurro: l’allora presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Gli atti dell’inchiesta di Perugia sugli spioni ripercorrono, nei numeri e nei dati coperti da segreto, i giorni convulsi dell’elezione del Presidente della Repubblica.

Quando, all’ombra dell’attività della politica che cercava la quadra sul nuovo nome del Capo dello Stato, si celava la corsa al dossier Colle, in uno scambio illegale di documenti tra l’ufficio Segnalazioni operazioni sospette dell’Antimafia e il team investigativo dei giornalisti del Domani. Dopo il caso del Cavaliere, sollevatonche da Forza Italia e dal leader Antonio Tajani, dove il sogno di Berlusconi di correre per la partita del Quirinale si era infranto il 22 gennaio, quando il leader di Forza Italia, il primo dei papabili del centrodestra, fu costretto a fare un passo indietro, in un clima di gogna mediatica scatenato dall’articolo seguito ai dossier su un presunto Ruby Gate e intitolato «Quirinal Papi. Berlusconi e i soldi alla donna misteriosa, i sospetti dell'antiriciclaggio», un altro dossier ad hoc per infilarsi nella delicata partita per l’elezione del successore (all’epoca il bis era ancora ritenuto improbabile) di Sergio Mattarella.

 

Un dossier che il luogotenente della Finanza, Pasquale Striano, aveva preparato il 20 gennaio - nel pieno delle trattative politiche sul voto a Montecitorio, in un duro clima di scontro che vedeva al centro la nomination dell’allora premier Mario Draghi e l’ipotesi di un nome scelto dal centrodestra condividendo tutta la documentazione con il giornalista Giovanni Tizian. Documenti non sul Cav, ma su una sconosciuta alle cronache, tale Julinda Llupo. «Ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la Presidenza della Repubblica», aveva scritto Berlusconi in una lettera a pochi giorni dall'inizio delle votazioni.
Ma c’era un altro nome che stava diventando in quelle ore un dossier e sul quale la coalizione di centrodestra discuteva da settimane e che perfino Giuseppe Conte non disdegnava: la forzista Elisabetta Alberti Casellati, che sedeva sullo scranno più alto di Palazzo Madama e che era considerata papabile, in quanto donna e seconda carica dello Stato nella legislatura che si stava concludendo. Insomma dai rumors, avrebbe potuto incassare il quorum necessario per l'elezione. Ma facciamo un passo indietro. Perché quel che ancora non si sa è che Striano stava già tornando in azione. Proprio contro Casellati.

Il cui nome da almeno una decina di giorni era dato per il "sostituto" ideale in caso di ritiro di Berlusconi. E il finanziere aveva setacciato le banche dati dell’Antimafia con lo stesso modus operandi che ha contraddistinto gli ultimi anni del suo lavoro, nei quali ha effettuato, secondo gli inquirenti, oltre 10mila accessi abusivi con il download di 34mila documenti riservati. Così il 10 gennaio 2022 aveva cercato i dati. Il contenuto della segnalazione per operazioni sospette numero 10520993, che invia al cronista e che contiene la documentazione riservata su tale Giampietro Garbo, imprenditore veneto. Nello stesso giorno, il luogotenente effettua un ulteriore accesso abusivo alla banca dati Siva per individuare, senza esito, la presenza di Sos nei confronti di «Maria Elisabetta Alberti».

Un rebus, degno dei migliori campioni della Settimana Enigmistica, risolvere il mistero di cosa avesse in comune la presidente del Senato con un ingegnere sconosciuto di Padova. Almeno finché i puntini non si uniscono il 27 gennaio, quando si chiude il cerchio di quel dossier cucinato per due settimane e che arriva in piena votazione. Dal 24, infatti, i grandi elettori tentavano la quadra su una rosa di nomi in cui Casellati non c'era, perché il quorum dei due terzi dell’Assemblea, pari a 673 voti, appariva un'impresa ardua. La trattativa sull’azzurra si sarebbe concretizzata il 27, giorno in cui bastava la maggioranza assoluta, il 50 per cento più uno dei 1.009 elettori, ovvero 505 voti.

 

In quello stesso giorno, però, esce lo scoop: «La presidente Casellati e i lavori nella sua villa pagati dal Viminale». L’esclusiva svela il mistero di Giampietro Garbo. Lo sconosciuto, altri non è che il titolare della piccola impresa individuale Edili Garbo, l'azienda di Padova incaricata di effettuare i lavori nel palazzetto del Settecento, nella centralissima via Euganea, di proprietà di Giambattista Casellati e della moglie Maria Elisabetta Alberti.

L’attacco alla candidata al Colle è quello di approfittare dei soldi degli italiani per ristrutturarsi la villa, mentre in realtà quei lavori erano stati autorizzati per la messa in sicurezza, a tutela, dell’abitazione della seconda carica dello Stato. Nell’articolo ci sono i riferimenti precisi ai documenti degli uffici antiriciclaggio della Banca d'Italia, dai quali risulta che il titolare dell'impresa incaricata dei lavori dalla Prefettura, nel 2009, avesse usufruito dello scudo fiscale varato dall’allora governo Berlusconi e riportato in Italia quasi 5 milioni di euro, dalla Svizzera e da San Marino. A quel punto il rossiniano venticello fa il resto. Il giorno dopo, alla quinta chiama, Casellati si schianta, con 382 voti. Il dossier Colle ha dato i suoi frutti.

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